FOGLIO LAPIS - APRILE - 2018

 
 

Le manifestazioni seguite all'ennesima strage in una scuola americana, diciassette morti che si aggiungono a una serie impressionante di vittime degli attacchi armati, propongono un protagonismo giovanile simile a quello che animò le proteste contro la guerra in Vietnam – Si chiede un controllo sul commercio delle armi individuali, nel quale regna oggi un'assoluta libertà protetta dal secondo emendamento della Costituzione

 

Potrebbe succedere a ognuno di noi, per questo siano in tanti a manifestare... ho paura ogni volta che entro in classe”. Così uno delle centinaia di migliaia di studenti americani che hanno dimostrato in centinaia di città, una protesta corale contro un establishment che nonostante le molte promesse non riesce a impostare una politica seria di controllo della diffusione delle armi individuali. L'occasione immediata delle grandi manifestazioni, culminate il 24 marzo in una spettacolare marcia su Washington, è la recente strage che in una scuola della Florida ha provocato diciassette vittime. Ma questo episodio non è che uno fra i tanti, i troppi: da un capo all'altro degli States le sparatorie sono all'ordine del giorno, soprattutto ma non soltanto nelle scuole e  nei campus. Un bilancio terrificante sgranato sugli anni parla di centinaia, migliaia di morti e di feriti. E così un'intera generazione ha detto basta e si è riversata nelle strade. Molti inalberavano le gigantografie delle vittime, altri liberavano in cielo palloncini con impressi i volti dei tanti ragazzi uccisi. Manifestavano affratellati da una parola d'ordine semplice e chiara che è al tempo stesso la denominazione del movimento nato in Florida: NeverAgain, mai più di nuovo.

Era dai tempi delle grandi manifestazioni contro la guerra in Vietnam, fanno notare i commentatori della stampa americana, che non si vedeva nell'Unione qualcosa del genere. Sociologi e politologi palano di risveglio del protagonismo giovanile, evocano un nuovo Sessantotto e scomodano figure come quella di Martin Luther King o immagini come la “nuova frontiera” di John Fitzgerald Kennedy. Effettivamente questo movimento assume i contorni di una sfida generazionale: questi ragazzi nati in un periodo caratterizzato non soltanto dal continuo crepitare delle armi da fuoco ma anche da un ininterrotto stato di guerra che impegna gli Stati Uniti in controverse missioni oltremare, e infine da un dibattito politico che l'irruzione sulla scena di Donald Trump ha reso se possibile ancora più aspro di quanto non fosse nei decenni precedenti.

Sul punto specifico delle sparatorie, i manifestanti di marzo chiedono semplicemente la fine del regime di estrema tolleranza nel commercio delle armi. Oggi in buona parte degli Stati Uniti per acquistare una pistola o persino un'arma automatica da guerra basta andare in un negozio specializzato, a volte addirittura in un grande magazzino. Ovviamente dietro questo commercio ci sono ingenti interessi economici, difesi da una lobby potente, la National Rifle Association la quale, richiamandosi al secondo emendamento della Costituzione che riconosce il diritto dei cittadini ad armarsi per l'autodifesa, preme ossessivamente sulle amministrazioni che si succedono alla Casa Bianca perché non s'introducano i limiti suggeriti dagli schieramenti progressisti e dalle organizzazioni di tutela dei diritti umani. Questa specie di culto dell'arma da fuoco è un evidente retaggio della storia degli Stati Uniti, nati da una sollevazione popolare contro il dominio britannico e sviluppati dall'impetuosa espansione verso ovest e dalle guerre indiane.

A queste sollecitazioni Washington è solita rispondere con vaghe promesse, alle quali generalmente non seguono i fatti. Ma stavolta la straordinaria mobilitazione giovanile sembra avere prodotto risultati importanti. Il presidente Trump, che pure ebbe la NRA fra i suoi sostenitori nelle elezioni del 2016, dopo avere inizialmente commentato l'ennesima strage con la stravagante proposta di armare professori e bidelli, ha finalmente assicurato che renderà più difficile procurarsi un'arma. Il problema è che c'è una tale  diffusione nel Paese di pistole e fucili che un florido mercato clandestino sarebbe comunque incontrollabile. Si chiedono dunque, come misure accessorie di prevenzione, un rafforzamento della vigilanza di polizia nelle scuole e un sistema efficiente di accessi attrezzati elettronicamente per tutti i luoghi pubblici, a cominciare appunto dagli edifici scolastici. In realtà queste difese già esistono, anche se non proprio dappertutto, ma spesso vengono gestite superficialmente e svogliatamente, troppo spesso lasciando passare gente armata.

Prendendo atto del ruolo crescente del mondo della scuola nel movimento anti-armi, la Casa Bianca fa sapere che proprio la ministra dell'educazione, Betsy DeVos, sarà a capo della Commissione federale per la sicurezza della scuola, un ente appositamente costituito per affrontare questa emergenza. La nascita della Commissione federale è finora il solo successo della mobilitazione giovanile, ma certo non basta. Sono sempre più numerosi i cittadini americani che si chiedono se finalmente sarà la volta buona, per dire addio al secondo emendamento nell'interpretazione attuale.

 

                                         a. v. 

    


                                                  

 
 

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