Il
petrolio a buon mercato mette in crisi il sistema
educativo in Alaska, uno degli Stati Uniti fra i più
dipendenti dalle quotazioni delle energie fossili -
Proprio questa risorsa aveva permesso massicci
investimenti nell'istruzione di ogni ordine e grado,
proseguiti anche quando il resto dell'Unione era afflitto
dalla crisi del 2008 – Ma ora, con il prezzo del barile
attorno ai quaranta dollari, le casse dello stato sono
vuote, e le prospettive scoraggianti
Grande
cinque volte e mezzo l'Italia, l'Alaska è il più esteso
fra gli Stati Uniti, ma con meno di un milione di abitanti
uno fra i meno popolati. Fino a pochi decenni or sono era
anche uno dei più ricchi, al punto che nel 1980 poté
permettersi il lusso di abolire l'imposta sul reddito. Il
segreto stava nel sottosuolo, in cui giacciono enormi
riserve di petrolio e gas naturale, e nel massiccio apporto
al bilancio statale della tassa sulle estrazioni. Perfino
durante la grande crisi recessiva del 2008-2009, che
afflisse oltre al resto del mondo l'insieme degli Stati
Uniti, il flusso dei petrodollari permise all'Alaska di
continuare la sua politica di generosi investimenti: in
particolare nei settori dell'istruzione, della sanità e
della previdenza, che assorbono circa i due terzi delle
spese pubbliche.
Il
sistema è entrato in crisi con la progressiva caduta del
prezzo del petrolio, e oggi, con la quotazione crollata
attorno ai quaranta dollari il barile (erano più di
duecento, prima del vertiginoso ridimensionamento), si è
aperta nel bilancio dello stato una voragine di tre miliardi
e mezzo di dollari. Che fare? Gli Stati Uniti stanno vivendo
un anno elettorale (il prossimo novembre si vota per la
successione di Barack Obama alla presidenza) e dunque
l'amministrazione repubblicana insediata nella capitale
Juneau considera impensabile reintrodurre l'imposta sul
reddito. Si preferisce puntare sui tagli alla spesa,
impopolari sì, ma meno dell'intervento fiscale. E anche il
sistema educativo deve fare i conti con la nuova realtà.
Riferisce
il New York Times che ad Anchorage sono state
eliminate una cinquantina di cattedre, con corrispondente
aumento del numero di alunni per classe, mentre nel remoto
villaggio di Nightmute, trecento abitanti fra i quali
ottanta studenti, cinque dei sei insegnanti sono sul punto
di andarsene. La stessa University of Alaska, frequentata
da 29 mila studenti, è stata sollecitata a concentrarsi
sull'insegnamento, tralasciando in attesa di tempi migliori
le costose attività di ricerca. Le ristrettezze di bilancio
costringono gli amministratori dello stato a rivedere le
ambiziose politiche del passato, quando per dotare di
servizi scolastici anche le più remote località
dell'immenso territorio si spendevano fino a 60 mila dollari
l'anno per allievo.
Forte
della sua ricchezza petrolifera, l'Alaska aveva infatti
dichiarato guerra alla disparità fra i giovani residenti
nelle città e gli abitanti dei villaggi, in buona parte
appartenenti alle minoranze native, remunerando con
consistenti indennità di disagio gli insegnanti disposti ad
affrontare l'inverno artico per svolgere il loro lavoro.
L'università si era allargata: tre campuses,
centinaia di aggiornati edifici per l'insegnamento e la
ricerca, alcuni delocalizzati in località sperdute, in cui
i rifornimenti possono arrivare soltanto per via aerea e le
spese di riscaldamento sono altissime. Negli anni delle
vacche grasse non erano certamente queste ultime a
preoccupare, in quel gelido Eldorado petrolifero.
Ma ora tutto questo è finito. Con il barile a quaranta
dollari tutti i conti vanno rivisti. Qualcuno propone di
chiudere alcune decine fra le costose scuole rurali, altri
di ridurre l'investimento nell'informatica veloce, del tutto
essenziale in un paese caratterizzato da grandi distanze ed
evidenti difficoltà, soprattutto invernali, in fatto di
spostamenti. Intanto molti docenti se ne vanno anche perché,
in singolare contraddizione con l'Alaska, gli altri stati
dell'Unione sono usciti dalla crisi, possono permettersi di
alimentare di nuovo la spesa pubblica e dunque hanno ripreso
ad assumere personale docente. Naturalmente non
manca, nello stato più settentrionale che non a caso
gli americani chiamano ”ultima frontiera”, chi di fronte
a questa emergenza avverte che la scuola dovrebbe essere
considerata non parte del problema, ma della soluzione. E
dunque per quanto possibile essere risparmiata dai tagli.
- a.
v.
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