FOGLIO LAPIS - APRILE - 2016

 
 

Il petrolio a buon mercato mette in crisi il sistema educativo in Alaska, uno degli Stati Uniti fra i più dipendenti dalle quotazioni delle energie fossili -  Proprio questa risorsa aveva permesso massicci investimenti nell'istruzione di ogni ordine e grado, proseguiti anche quando il resto dell'Unione era afflitto dalla crisi del 2008 – Ma ora, con il prezzo del barile attorno ai quaranta dollari, le casse dello stato sono vuote, e le prospettive scoraggianti

 

Grande cinque volte e mezzo l'Italia, l'Alaska è il più esteso fra gli Stati Uniti, ma con meno di un milione di abitanti uno fra i meno popolati. Fino a pochi decenni or sono era anche uno dei più ricchi, al punto che nel 1980 poté permettersi il lusso di abolire l'imposta sul reddito. Il segreto stava nel sottosuolo, in cui giacciono enormi riserve di petrolio e gas naturale, e nel massiccio apporto al bilancio statale della tassa sulle estrazioni. Perfino durante la grande crisi recessiva del 2008-2009, che afflisse oltre al resto del mondo l'insieme degli Stati Uniti, il flusso dei petrodollari permise all'Alaska di continuare la sua politica di generosi investimenti: in particolare nei settori dell'istruzione, della sanità e della previdenza, che assorbono circa i due terzi delle spese pubbliche.

Il sistema è entrato in crisi con la progressiva caduta del prezzo del petrolio, e oggi, con la quotazione crollata attorno ai quaranta dollari il barile (erano più di duecento, prima del vertiginoso ridimensionamento), si è aperta nel bilancio dello stato una voragine di tre miliardi e mezzo di dollari. Che fare? Gli Stati Uniti stanno vivendo un anno elettorale (il prossimo novembre si vota per la successione di Barack Obama alla presidenza) e dunque l'amministrazione repubblicana insediata nella capitale Juneau considera impensabile reintrodurre l'imposta sul reddito. Si preferisce puntare sui tagli alla spesa, impopolari sì, ma meno dell'intervento fiscale. E anche il sistema educativo deve fare i conti con la nuova realtà.

Riferisce il New York Times che ad Anchorage sono state eliminate una cinquantina di cattedre, con corrispondente aumento del numero di alunni per classe, mentre nel remoto villaggio di Nightmute, trecento abitanti fra i quali ottanta studenti, cinque dei sei insegnanti sono sul punto di andarsene. La stessa University of Alaska, frequentata da 29 mila studenti, è stata sollecitata a concentrarsi sull'insegnamento, tralasciando in attesa di tempi migliori le costose attività di ricerca. Le ristrettezze di bilancio costringono gli amministratori dello stato a rivedere le ambiziose politiche del passato, quando per dotare di servizi scolastici anche le più remote località dell'immenso territorio si spendevano fino a 60 mila dollari l'anno per allievo.

Forte della sua ricchezza petrolifera, l'Alaska aveva infatti dichiarato guerra alla disparità fra i giovani residenti nelle città e gli abitanti dei villaggi, in buona parte appartenenti alle minoranze native, remunerando con consistenti indennità di disagio gli insegnanti disposti ad affrontare l'inverno artico per svolgere il loro lavoro. L'università si era allargata: tre campuses, centinaia di aggiornati edifici per l'insegnamento e la ricerca, alcuni delocalizzati in località sperdute, in cui i rifornimenti possono arrivare soltanto per via aerea e le spese di riscaldamento sono altissime. Negli anni delle vacche grasse non erano certamente queste ultime a preoccupare, in quel gelido Eldorado petrolifero.

Ma ora tutto questo è finito. Con il barile a quaranta dollari tutti i conti vanno rivisti. Qualcuno propone di chiudere alcune decine fra le costose scuole rurali, altri di ridurre l'investimento nell'informatica veloce, del tutto essenziale in un paese caratterizzato da grandi distanze ed evidenti difficoltà, soprattutto invernali, in fatto di spostamenti. Intanto molti docenti se ne vanno anche perché, in singolare contraddizione con l'Alaska, gli altri stati dell'Unione sono usciti dalla crisi, possono permettersi di alimentare di nuovo la spesa pubblica e dunque hanno ripreso ad assumere personale docente. Naturalmente non  manca, nello stato più settentrionale che non a caso gli americani chiamano ”ultima frontiera”, chi di fronte a questa emergenza avverte che la scuola dovrebbe essere considerata non parte del problema, ma della soluzione. E dunque per quanto possibile essere risparmiata dai tagli.

                                         a. v. 

    


                                                  

 
 

Clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter!

 

Torna al Foglio Lapis aprile 2016

 

Mandaci un' E-mail!