FOGLIO LAPIS - APRILE - 2016

 
 

Si parla di quello che si potrebbe definire accanimento scolastico. una pressione eccessiva, volta a ottenere risultati in termini di rendimento – Potrebbe sortire l'effetto contrario, riducendo le motivazioni e addirittura provocando stati depressivi – Un punto di vista condivisibile, a patto di considerare anche il rischio opposto, quello di un'istruzione troppo accondiscendente, dunque incapace di preparare i ragazzi alle sfide che li aspettano

 

Sarebbero settecentomila, secondo e stime raccolte da Ouest-France, il quotidiano di Nantes, i ragazzi francesi colpiti da quello che si potrebbe definire accanimento scolastico. Consiste in una pressione eccessiva che viene esercitata su di loro: lodevole l'intenzione, che è quella di massimizzare il rendimento, ma come capita quando un'azione va fuori misura finisce spesso con il sortire effetti diametralmente opposti. Cioè la disaffezione scolastica, la perdita delle motivazioni, a volte persino stati depressivi. A volte queste pressioni vengono esercitate dai docenti, altre volte dalle famiglie. Nell'un caso come nell'altro, il fenomeno alimenta la dispersione scolastica.

É un problema sul quale da tempo si era steso un velo di silenzio, ma ora il ministero francese dell'educazione nazionale ha deciso di correre ai ripari. Secondo Thierry Claverie, direttore accademico dei servizi educativi, l'autorità scolastica “non è più nella dinamica di tacere le cose”. Evocando il problema nel corso di una visita a un liceo di Nantes, Claverie fa notare la necessità che la scuola offra un contesto confortevole all'apprendimento e alla formazione. L'invito è rivolto ugualmente alle famiglie e ai docenti: andiamoci piano, non pretendiamo troppo dai nostri ragazzi, cerchiamo piuttosto di creare le condizioni favorevoli perché dall'istruzione possano trarre il massimo profitto, senza che siamo oppressi da ansie di rendimento.

Proprio gli stessi giorni in cui la questione è approdata alla stampa francese, l'Ufficio europeo dell'Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato il rapporto quadriennale sulla salute e il benessere dei giovani. Sulla base di uno studio condotto nel biennio 2013-14 sui ragazzi fra gli undici e i quindici anni, ne risulta che gli adolescenti italiani hanno un cattivo rapporto con la scuola perché stressati da un carico di lavoro troppo pesante. La scuola piace soltanto al dieci per cento delle ragazze quindicenni e all'otto per cento dei loro compagni maschi. Quasi i tre quarti delle ragazze e oltre la metà dei ragazzi individua la causa di questa disaffezione proprio nella pressione eccessiva esercitata su di loro da famiglie e docenti.

Di particolare interesse il rapporto fra questa situazione e il rendimento scolastico. Lo studio dell'OMS conferma i dati forniti ogni tre anni dall'indagine PISA condotta per conto dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE): soltanto la metà delle ragazze e poco più di un terzo dei ragazzi possono vantare un buon rendimento: siamo bene al di sotto della media europea. Le cifre ci dicono dunque che la pressione generatrice di stress non raggiunge mediamente quella che dovrebbe essere la sua finalità, cioè l'ottimizzazione dei risultati scolastici. Ma non ci sembra che questa considerazione possa chiudere il problema.

É vero infatti che non ha senso una pressione che rasenti i limiti dell'accanimento scolastico. Ma è anche vero che la scuola non può essere così distante dalla vita da ignorarne le asprezze. La scuola deve preparare i nostri ragazzi a un'età adulta in cui si troveranno immersi in una società carica di problemi, una sfida al loro temperamento e alla loro maturità di cittadini. E forse a questo punto la loro capacità di affrontarli senza entrare nel panico dipenderà anche dalla qualità dell'esperienza scolastica: in altre parole, qualche controllabile stress sopportato fra i banchi potrà averli convenientemente preparati agli inevitabili stress della vita reale. Questo non è il rimpianto di una scuola severa e arcigna che appartiene al passato, ma il timore di una scuola troppo soft, per usare un termine familiare ai giovani, e dunque  propensa a non contrastare certe fragilità caratteriali che potranno rendere traumatico l'impatto con i problemi della vita.

                                         Alfredo Venturi 

    


                                                  

 
 

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