Uno
studio ha analizzato la popolazione scolastica negli Stati
Uniti, confermando
che la presenza di afro-americani e ispanici nelle
scuole private è nettamente inferiore alla percentuale
demografica delle due comunità – Le cause: il boom di
iscrizioni alle private, soprattutto al Sud, negli anni
delle leggi federali per l'integrazione razziale, il minor
reddito delle famiglie non bianche – Si cerca di correre
ai ripari, fra molte polemiche
Negli
anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando le nuove
norme federali permisero agli afro-americani di frequentare
le scuole pubbliche storicamente interdette ai non-bianchi,
molte famiglie preferirono, soprattutto negli stati del Sud
tradizionalmente segregazionisti, iscrivere i loro figli
agli istituti privati. Accettarono cioè di pagare rette
relativamente elevate per evitare una commistione razziale
che a differenza dai legislatori di Washington consideravano
inopportuna. Mezzo secolo più tardi, nonostante la novità
senza precedenti di un presidente afro-americano alla Casa
Bianca, la situazione non è mutata. Secondo lo studio
condotto per conto della Fondazione educativa del Sud, la
presenza di alunni neri o ispanici fra i banchi delle scuole
private è decisamente inferiore alla quota percentuale
delle due comunità nella popolazione.
Naturalmente
non si tratta, almeno esplicitamente, di discriminazione
razziale. Ciò che limita la possibilità per i ragazzi
afro-americani e ispanici di frequentare le costose scuole
private è soprattutto il reddito delle loro famiglie,
mediamente di molto inferiore a quello delle famiglie
bianche. Il problema rappresenta in ogni modo un'asimmetria
rispetto a quel principio di uguaglianza che è contenuto
nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti e nella
costituzione americana.
Il caso-limite è quello del Mississippi, dove i
cittadini bianchi in età scolastica sono il 51 per cento,
mentre la loro presenza nelle scuole private arriva all'87
per cento. La differenza in quello stato è dunque di 36
punti percentuali, mentre quella media nell'insieme
dell'Unione si limita a quindici punti.
Un
altro dato interessante: il 43 per cento delle scuole
private americane è totalmente bianco (cioè frequentato da
bianchi per oltre il 90 per cento), mentre nel sistema
educativo pubblico la percentuale scende al 27 per cento, un
livello più o meno corrispondente alla quota demografica.
Per quanto di particolare intensità negli stati del Sud a
causa delle ben note contingenze storiche, il fenomeno
investe l'insieme del paese. Ed è soprattutto negli stati
del Nord che se ne discute con forti connotazioni polemiche,
un dibattito che come sempre chiama in causa l'impiego del
denaro dei contribuenti. L'istruzione privata è infatti
largamente sovvenzionata, in misura variabile, con risorse
pubbliche. Per esempio attraverso un sistema di vouchers
che ne permette la frequenza ai ragazzi provenienti da
famiglie meno abbienti. E ora si chiede un maggiore impiego
di risorse pubbliche per correggere le disparità di
frequenza.
Proprio questo alimenta la polemica. Da una parte si fa
notare che la scelta della scuola privata non è razzista,
è semplicemente la scelta di chi va alla ricerca di un
migliore rapporto docenti-alunni, dunque di una migliore
qualità educativa. Dall'altra c'è chi contesta il fatto
che gli istituti privati, proprio perché hanno in bilancio
entrate provenienti
dalle tasche dei contribuenti, dovrebbero uniformarsi al
principio base della scuola pubblica, cioè offrire a tutti
le medesime opportunità di partenza. In modo che siano
semplicemente l'impegno e il merito, non le condizioni di
reddito della famiglia, a guidare i percorsi scolastici. Di
qui un duplice fronte polemico: di chi difende la scuola
privata come espressione di libertà e vuol tenerla al
riparo da derive ideologiche, e di chi rifiuta che il
reddito fiscale vada ad alimentare strutture educative del
tutto prive di motivazioni pubbliche.
- l.
v.
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