La
società italiana ha imparato a leggere e scrivere,
superando la mortificante situazione degli anni
dell'unificazione nazionale – Ma il risultato è
soltanto parzialmente positivo, perché si fa strada un
preoccupante analfabetismo di ritorno – In pratica,
soltanto una minoranza d'italiani è in grado di
orientarsi nel mondo complesso di oggi – Il caso dei
tanti che hanno interpretato un manifesto elettorale come
un documento ufficiale
“Dov'è
il vostro esercito di maestri di scuola, il solo che la
civilizzazione riconosca? Dove sono le vostre scuole
gratuite e obbligatorie? Forse che nella patria di Dante e
Michelangelo sanno leggere tutti?” Sono le parole che
Victor Hugo scrisse nel 1862, in un accorato appello al
“gran popolo d'Italia” che inviò all'editore italiano
dei Miserabili. Lo scrittore francese metteva il dito
nella piaga più dolorosa dello stato appena uscito dal
processo di unificazione. Affascinato dallo splendido
passato intellettuale del paese, Hugo ne sottolineava il
contrasto con la mortificante realtà contemporanea. Infatti
non soltanto “nella patria di Dante e Michelangelo” non
sapevano leggere tutti, ma addirittura chi sapeva leggere
era una minoranza, meno di un terzo. L'Italia unita si
affacciava alla scena mondiale con un tasso di analfabetismo
attorno al 70 per cento.
Nello
stesso messaggio, Hugo segnalava un'altra incongruenza, che
questa volta accomunava l'Italia sabauda alla Francia del
Secondo Impero: “Non avete forse al pari di noi un
esorbitante bilancio per la guerra, e uno irrisorio per
l'istruzione?” Proprio così, fra le priorità del paese
unificato la scuola veniva dopo la caserma. Infatti l'unità
era ancora incompleta, mancavano Roma e Venezia, Trieste e
Trento, e poi presto cominceranno gli appetiti coloniali.
Insomma bisognava combattere ancora, e i cittadini mandati
al fronte non importava se non sapevano leggere, importava
piuttosto che sapessero sparare. E così in cima alle
preoccupazioni governative non era l'esercito dei maestri di
scuola invocato da Hugo, ma quello dei generali.
Tuttavia,
quando con il governo Depretis si cominciò a realizzare il
sogno della gratuità e dell'obbligatorietà dell'istruzione
elementare, le cose cominciarono a cambiare. Il tasso di
alfabetizzazione conobbe una spettacolare impennata, e nel
giro di alcune generazioni superava il novantacinque per
cento. L'ultima potente spinta all'alfabetizzazione di massa
è quella che Alberto Manzi seppe imprimere, negli anni
Sessanta del Novecento, con il suo programma televisivo Non
è mai troppo tardi. Oggi si calcola che l'analfabetismo
tradizionale, quello di chi non sa riconoscere i segni della
scrittura, sia al di sotto dell'un per cento. Tutto bene
dunque? Niente affatto. C'è una massa di persone che
tecnicamente saanno leggere, nel senso che riconoscono
lettere, parole e frasi, ma in pratica non sanno capire
quello che leggono. É un fenomeno che inquieta sociologi e
linguisti e si chiama analfabetismo funzionale.
Per
capire bene di che cosa si tratta vediamo i risultati di una
recente indagine ALL (Adult Literacy and Life Skills)
condotta dall'OCSE, quella stessa Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico che attraverso le
inchieste PISA (Programme for International Student
Assessment) monitorizza la situazione scolastica nei
paesi membri. Questa volta sono state misurate le abilità
di lettura, scrittura e calcolo in sette paesi: Stati Uniti,
Canada, Messico, Bermuda, Italia, Norvegia, Svizzera. In
attesa del rapporto finale, che sarà pubblicato il prossimo
autunno, alcune interesanti anticipazioni riguardano la
capacità di lettura. A gruppi di persone comprese fra i 16
e i 65 anni sono stati sottoposti il foglietto illustrativo
di un farmaco, le istruzioni per la coltivazione di una
pianta e quelle per la manutenzione di una bicicletta.
Ebbene,
il cinque per cento degli italiani intervistati non sa
desumere, dalla lettura del “bugiardino”, la posologia
del farmaco. La metà degli intervistati non riesce a capire
gli effetti del freddo sulla pianta, che pure sono
chiaramente descritti del testo. Quanto alla bicicletta, un
terzo degli intervistati non sa sistemare il sellino,
nonostante abbia letto in proposito un'esauriente
informazione. La comparazione internazionale rivela che le
lacune nazionali sono più profonde della media: infatti
soltanto i messicani rispondono peggio dei nostri
connazionali, che pure sono più lungamente scolarizzati.
Come interpretare questa realtà? Com'è possibile che si
esca dalla scuola in condizioni di analfabetismo funzionale?
Un esperto come il linguista Tullio de Mauro parla di
“fenomeni di de-alfabetizzazione” propri delle società
ricche. Quelli stessi che sacrificano la capacità di
calcolo alla disponibilità di una calcolatrice, o le
conoscenze geografiche e topografiche al possesso di un
navigatore satellitare. Certo, niente da dire sui vantaggi
della tecnologia. Ma se il marchingegno si guasta? Se viene
a mancare la corrente? Non sarebbe il caso di recuperare
certe competenze elementari, e imparare a cavarcela da soli?
Dov'è il nostro esercito di maestri di vita?
- Alfredo
Venturi
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