FOGLIO LAPIS - APRILE - 2013

 
 

La società italiana ha imparato a leggere e scrivere, superando la mortificante situazione degli anni dell'unificazione nazionale – Ma il risultato è soltanto parzialmente positivo, perché si fa strada un preoccupante analfabetismo di ritorno – In pratica, soltanto una minoranza d'italiani è in grado di orientarsi nel mondo complesso di oggi – Il caso dei tanti che hanno interpretato un manifesto elettorale come un documento ufficiale

 

Dov'è il vostro esercito di maestri di scuola, il solo che la civilizzazione riconosca? Dove sono le vostre scuole gratuite e obbligatorie? Forse che nella patria di Dante e Michelangelo sanno leggere tutti?” Sono le parole che Victor Hugo scrisse nel 1862, in un accorato appello al “gran popolo d'Italia” che inviò all'editore italiano dei Miserabili. Lo scrittore francese metteva il dito nella piaga più dolorosa dello stato appena uscito dal processo di unificazione. Affascinato dallo splendido passato intellettuale del paese, Hugo ne sottolineava il contrasto con la mortificante realtà contemporanea. Infatti non soltanto “nella patria di Dante e Michelangelo” non sapevano leggere tutti, ma addirittura chi sapeva leggere era una minoranza, meno di un terzo. L'Italia unita si affacciava alla scena mondiale con un tasso di analfabetismo attorno al 70 per cento.

Nello stesso messaggio, Hugo segnalava un'altra incongruenza, che questa volta accomunava l'Italia sabauda alla Francia del Secondo Impero: “Non avete forse al pari di noi un esorbitante bilancio per la guerra, e uno irrisorio per l'istruzione?” Proprio così, fra le priorità del paese unificato la scuola veniva dopo la caserma. Infatti l'unità era ancora incompleta, mancavano Roma e Venezia, Trieste e Trento, e poi presto cominceranno gli appetiti coloniali. Insomma bisognava combattere ancora, e i cittadini mandati al fronte non importava se non sapevano leggere, importava piuttosto che sapessero sparare. E così in cima alle preoccupazioni governative non era l'esercito dei maestri di scuola invocato da Hugo, ma quello dei generali.

Tuttavia, quando con il governo Depretis si cominciò a realizzare il sogno della gratuità e dell'obbligatorietà dell'istruzione elementare, le cose cominciarono a cambiare. Il tasso di alfabetizzazione conobbe una spettacolare impennata, e nel giro di alcune generazioni superava il novantacinque per cento. L'ultima potente spinta all'alfabetizzazione di massa è quella che Alberto Manzi seppe imprimere, negli anni Sessanta del Novecento, con il suo programma televisivo Non è mai troppo tardi. Oggi si calcola che l'analfabetismo tradizionale, quello di chi non sa riconoscere i segni della scrittura, sia al di sotto dell'un per cento. Tutto bene dunque? Niente affatto. C'è una massa di persone che tecnicamente saanno leggere, nel senso che riconoscono lettere, parole e frasi, ma in pratica non sanno capire quello che leggono. É un fenomeno che inquieta sociologi e linguisti e si chiama analfabetismo funzionale.

Per capire bene di che cosa si tratta vediamo i risultati di una recente indagine ALL (Adult Literacy and Life Skills) condotta dall'OCSE, quella stessa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che attraverso le inchieste PISA (Programme for International Student Assessment) monitorizza la situazione scolastica nei paesi membri. Questa volta sono state misurate le abilità di lettura, scrittura e calcolo in sette paesi: Stati Uniti, Canada, Messico, Bermuda, Italia, Norvegia, Svizzera. In attesa del rapporto finale, che sarà pubblicato il prossimo autunno, alcune interesanti anticipazioni riguardano la capacità di lettura. A gruppi di persone comprese fra i 16 e i 65 anni sono stati sottoposti il foglietto illustrativo di un farmaco, le istruzioni per la coltivazione di una pianta e quelle per la manutenzione di una bicicletta.

Ebbene, il cinque per cento degli italiani intervistati non sa desumere, dalla lettura del “bugiardino”, la posologia del farmaco. La metà degli intervistati non riesce a capire gli effetti del freddo sulla pianta, che pure sono chiaramente descritti del testo. Quanto alla bicicletta, un terzo degli intervistati non sa sistemare il sellino, nonostante abbia letto in proposito un'esauriente informazione. La comparazione internazionale rivela che le lacune nazionali sono più profonde della media: infatti soltanto i messicani rispondono peggio dei nostri connazionali, che pure sono più lungamente scolarizzati. Come interpretare questa realtà? Com'è possibile che si esca dalla scuola in condizioni di analfabetismo funzionale?

Un esperto come il linguista Tullio de Mauro parla di “fenomeni di de-alfabetizzazione” propri delle società ricche. Quelli stessi che sacrificano la capacità di calcolo alla disponibilità di una calcolatrice, o le conoscenze geografiche e topografiche al possesso di un navigatore satellitare. Certo, niente da dire sui vantaggi della tecnologia. Ma se il marchingegno si guasta? Se viene a mancare la corrente? Non sarebbe il caso di recuperare certe competenze elementari, e imparare a cavarcela da soli? Dov'è il nostro esercito di maestri di vita?

                                         Alfredo Venturi

    


                                                  

 
 

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