FOGLIO LAPIS - APRILE - 2010

 
 

Le famiglie non erano in regola con il pagamento dei contributi per la mensa, e così in un caso i piccoli sono stati trattati a pane e acqua, nell’altro lasciati addirittura fuori dalla mensa – Forse un pizzico di xenofobia all’origine di un simile comportamento (erano coinvolte nella vicenda alcune famiglie straniere), ma soprattutto l’ignoranza dei più fondamentali diritti – Questa volta sono stati i piccoli alunni a salire in cattedra, dividendo il pasto con i compagni puniti

 

La cosa più impressionante è stata la reazione di un genitore, all’uscita dalla scuola, davanti all’intervistatrice che gli chiedeva un commento. “È giusto, se uno non paga non ha diritto al servizio!”. Così ha detto imperturbabile, tenendo per mano il suo bambino. Il caso, anzi i due casi, hanno occupato le cronache all’inizio del mese di aprile. Sono accaduti in due scuole primarie italiane, nelle quali un certo numero di famiglie non era in regola con il pagamento dei contributi per la mensa. In una delle due scuole, a Montecchio Maggiore in provincia di Vicenza, i piccoli coinvolti loro malgrado in questa vicenda di inadempienze finanziarie si sono visti servire solo pane a acqua: così ha deciso la giunta comunale. Nell’altra, a Adro in provincia di Brescia, sono stati addirittura bloccati all’ingresso nella sala mensa: no, tu no, tuo padre non paga e allora resterai digiuno. In entrambi i casi i bambini hanno pagato con una cocente umiliazione l’inadempienza o la distrazione dei loro genitori. I entrambi i casi ci sembra lecito parlare di barbarie.

Nei commenti di stampa è stata avanzata l’ipotesi che a determinare quel comportamento possa avere contributo una robusta dose di xenofobia. Alcune delle famiglie inadempienti sono infatti straniere, e gli episodi si sono verificati in aree di forte concentrazione leghista, dove cioè domina la scena un partito che della protesta contro l’immigrazione più o meno incontrollata e le sue conseguenze ha fatto un cavallo di battaglia. Ma questa interpretazione non esaurisce il discorso: sia perché non tutti i bambini coinvolti sono stranieri, sia perché autorevoli esponenti di quella stessa forza politica hanno preso le distanze da quel modo così disumano di affrontare un problema di recupero crediti. Più che di un gesto d’intolleranza dalle radici politiche, si tratta dunque di una manifestazione d’inciviltà, dell’ignoranza di certi elementari doveri. Del fatto, per esempio, che l’Italia è ovviamente fra i firmatari della dichiarazione internazionale dei diritti del bambino.

I nostri lettori sono abbastanza evoluti da non aver bisogno di argomenti per dimostrare l’illegittimità, a dir poco, di questi comportamenti. Ci permettiamo soltanto di sottolineare quanto sia assurdo che si siano verificati nel sistema scolastico, che ha una missione precipuamente educativa, e proprio in occasione di quella riunione in sala mensa che viene universalmente considerata come un essenziale spazio di socializzazione, un distacco dal lavoro in classe che permette di interagire, e tanto meglio se le esperienze originarie sono diverse, attorno al “rito” del cibo quotidiano.

La tristissima vicenda che abbiamo raccontato presenta fortunatamente un confortante spiraglio di luce. Nel primo dei due casi, quello che ha visto i figli dei genitori morosi trattati a pane e acqua, gli stessi compagni si sono ribellati al sopruso, dividendo il pasto con loro. Hanno dunque dato una bellissima lezione di stile e di umanità non soltanto ai dirigenti scolastici e comunali che hanno impostato in modo così brutale il loro diritto a esigere il dovuto, ma anche a quel genitore che trova del tutto naturale negare ai bambini, visto che papà non paga, un posto a tavola. Ci piace immaginare che anche suo figlio sia stato fra i piccoli che hanno riempito, con tanta civile naturalezza, i piatti vuoti dei loro compagni.

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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