Nell’attesa
di rimborsi che non arrivano mai, i bilanci degli istituti
scolastici fanno acqua da tutte le parti – E così si
chiede aiuto ai genitori: un contributo volontario che in
alcuni casi può anche ammontare a alcune centinaia di
euro – Purché non sia presentato come obbligatorio,
questo contributo è previsto dalla normativa – Ma è
imbarazzante che il sistema sia ridotto a questo dalle
difficoltà finanziarie, le stesse che inducono a
aumentare l’affollamento delle classi
Rotoli di carta igienica svolti davanti alle
rappresentanze periferiche del ministro dell’istruzione:
è il logo imbarazzante delle manifestazioni che in alcune
città italiane si sono svolte per protestare contro la
riduzione dei finanziamenti alla scuola. La carta igienica
è uno dei beni di prima necessità che alcuni istituti non
sono più in grado di acquistare. I loro bilanci sono
infatti in crisi, sia perché i normali finanziamenti sono
stati ridotti, sia addirittura perché lo Stato tarda a
onorare i suoi debiti. Ci sono casi di supplenze alle quali
è necessario rinunciare per mancanza di fondi, o che si
realizzano grazie alla buona volontà di docenti disposti a
mettersi in lista d’attesa per quanto riguarda la
remunerazione del loro lavoro.
Per questo si va diffondendo nel sistema scolastico
l’abitudine di chiedere aiuto alle famiglie. Quello che i
capi d’istituto sono costretti a sollecitare è un
contributo volontario a coprire le spese della scuola. Una
materia regolata dalla legge, che però la legge ha
immaginato non certo per acquistare carta igienica o
articoli di cancelleria per gli uffici, ma per finanziare le
spese imposte dalle nuove tecnologie o quelle richieste
dalla necessità di manutenzione o riparazione di edifici o
impianti.
Poiché molte famiglie protestano contro quella che
considerano una sopraffazione, è bene ricordare che non
sono affatto obbligate a concorrere alle spese della scuola.
Quelle previste dalla normativa sono infatti “erogazioni
liberali”, cioè su base assolutamente volontaria. Quindi
la scuola non le può imporre, solo richiedere come gesto di
buona volontà per superare problemi altrimenti insolubili.
Magari può anche ricordare alle famiglie che quei
contributi, se vengono effettuati con modalità
documentabili, possono essere detratte per quasi un quinto
(19 per cento) dalla dichiarazione dei redditi.
È davvero imbarazzante, in ogni caso, che la scuola
italiana sia ridotta a far dipendere il funzionamento dei
suoi servizi essenziali da un intervento delle famiglie che
dovrebbe essere riservato, nello spirito della legge,
esclusivamente alla copertura di spese straordinarie. Per di
più con procedure di pressione che sfiorano il ricatto: o
così o saremo costretti a sospendere il tale servizio… E
tutto questo anche nella scuola dell’obbligo, cioè
dell’istruzione non solo obbligatoria ma anche gratuita…
D’altra parte proviamo a calarci nei panni di quei
dirigenti d’istituto che non ricevono soldi dallo Stato,
nei cui confronti magari vantano crediti ormai stagionati, e
si trovano di fronte alla scomoda alternativa fra una sorta
di questua fra le famiglie degli alunni e la paralisi di
questa o quella prestazione. Una situazione inaccettabile,
che una volta ancora chiama in causa il gravissimo problema
delle priorità. Si devono tagliare le uscite dei bilanci
pubblici? D’accordo, lo si faccia, ma per favore non a
spese della scuola.
Un’altra sforbiciata alle risorse destinate
all’istruzione viene introdotta surrettiziamente con la
cosiddetta razionalizzazione della rete scolastica. Vi si
prevede infatti l’aumento del numero minimo e di quello
massimo di alunni per classe. Lo scopo è evidente: classi
più affollate significa meno classi, dunque meno
insegnanti, dunque meno spesa per stipendi. Nella scuola
primaria le classi avranno almeno diciotto alunni e non più
di ventisei (prima erano rispettivamente quindici e
venticinque). Nella secondaria di primo grado si passa da
quindici-venticinque a diciotto-ventisette. Si fa notare che
l’innalzamento del numero di alunni per classe incide
negativamente non soltanto sulla qualità
dell’insegnamento, ma anche sull’attuabilità delle
procedure di sicurezza. Con gruppi più numerosi è infatti
più difficile organizzare per esempio l’evacuazione in
caso d’incendio. Ci si chiede: è mai possibile che i
problemi dei bilanci pubblici abbiano priorità anche su
questo?
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f. s.
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