FOGLIO LAPIS - APRILE - 2010

 
 

Un’idea venuta per caso: fermarsi un momento, lasciarsi osservare dal tempo, superare finalmente la barriera interpersonale con un gesto fuori dagli schemi: il dono di un libro, accompagnato da un sorriso – Riconoscersi nel gesto, e successivamente nell’esperienza condivisa della lettura - Complice FaceBook, l’idea non è rimasta tale, si è calata nel divenire, ha regalato un assaggio di quello che potrebbe essere la vita se…

 

Un fischio. E un centinaio di persone che si immobilizzano, un libro aperto tra le mani, gli occhi fissi sull'inchiostro.

                                                                                                       Un improvviso quadro umano distribuito nel largo atrio della stazione di Firenze Santa Maria Novella. E i passanti increduli, in mezzo a un paesaggio statico di uomini e libri che durerà per sessanta secondi. Risuona una voce amplificata da un megafono: “Vi siete mai fermati a osservare il tempo? Oggi lui si ferma e osserva voi. Non lasciatevi scorrere la vita addosso. Il 26 marzo fermatevi anche voi e regalate un libro a uno sconosciuto” .

E’ il 13 marzo e la voce appartiene a Alberto Schiariti, il ragazzo ventiduenne che ha ideato l’iniziativa “Leggere, leggere, leggere”. Tutto è partito da un’idea venuta quasi per caso, presto espressa nel suo blog: prendere un libro, già posseduto o nuovo, e regalarlo a uno sconosciuto, darglielo in mano, guardandolo negli occhi e sorridendo, così, direttamente, e farlo tutti lo stesso giorno, tutti il 26 marzo. Perché lo inquieta, scrive, prendere ogni giorno, da anni, il bus con le stesse persone e avvertire nitidamente la barriera che inesorabilmente le separa, che le rende estranee come se non si fossero mai viste prima. “Non fare del male, non vuol dire fare del bene. Non uccidere qualcuno, non vuol dire curarlo. Volere bene a qualcuno, non significa fare il suo bene.” Azione, quindi, reazione anzi, a questo paesaggio di inequivocabile chiusura. E la lettura è qualcosa che apre, che spinge, che impedisce la sedimentazione di limiti mentali, alimentando il libero flusso dei pensieri.

Il programma è un programma di distruzione costruttiva, quindi. Quella che opera lo sconosciuto-conosciuto che si alza, si pianta davanti a te, ti sorride e ti regala qualcosa in modo disinteressato e sereno (contro ogni usanza e aspettativa di questa società) e che permette al tuo cervello di aver improvvisamente chiara quale fosse la ridicolaggine dell’altro atteggiamento, quello della barriera alienata che ti separava di miglia e miglia dal vicino di treno. Quella che opera ogni libro minando, con delle nuove tesi, almeno qualcuna delle tue convinzioni, spiacevolezza che non tarderà a mostrare il suo grande valore positivo.     

Quella che opera il trovarsi in stazione come ogni giorno a prendere il treno come ogni giorno e sentire un fischio al cui suono decine e decine di “persone-come-ogni-giorno” si bloccano in una posa di lettura mentre una voce ci fa notare che il tempo si è fermato ad osservarci e che non dovremmo lasciare che la vita ci scorra addosso; spalancando nella mente un varco inatteso attraverso il quale sarà facile finire con il concepire qualcosa di nuovo. Quella che ha operato Alberto Schiariti non essendosi limitato a vagheggiare un’idea ma avendo agito con impegno per realizzarla. La distruzione è condizione fondamentale di ogni sviluppo, antitesi necessaria di ogni processo dialettico, elemento base di ciò che si oppone alla stasi, elemento che possiamo dunque chiamare divenire, o vita. 

In fondo basta quello scatto di volontà, quel momento di superamento della massa critica, per smuovere le cose. E le cose si sono smosse, superando ogni aspettativa. Le adesioni hanno preso a moltiplicarsi esponenzialmente fin dai primissimi giorni, per arrivare agli oltre 240.000 iscritti al gruppo su FaceBook che è stato creato. Il 26 marzo decine di migliaia di persone ce l’hanno fatta, hanno rotto la coltre grigiastra, hanno aperto uno squarcio di umanità, tutte insieme, perché evidentemente si può, far sì che non sia un sogno solitario.

                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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