Nel
centenario della morte dell’autore di Cuore, la
riscoperta di un eroe per il rinascimento contemporaneo
– Lealtà, onestà, trasparenza, integrità, sacrificio,
povertà: sono i valori dimenticati che De Amicis seppe
proporre con un linguaggio universale e
“contemporaneo” – Le celebrazioni ricordano un
grande scrittore di libri di viaggio, ma soprattutto
l’autore dell’epopea di quella terza elementare –
Dovranno anche fare i conti con le critiche al
“buonismo” dell’opera
Ricorre quest’anno il centenario della morte di
Edmondo De Amicis. Per celebrarlo l’editore Einaudi ha da
pochi giorni pubblicato il libro Costantinopoli,
una delle corrispondenze di viaggio dello scrittore.
Edmondo De Amicis, dopo l’esperienza militare
nell’esercito sabaudo, divenne inviato per il quotidiano La Nazione di Firenze, assistendo tra l'altro alla presa di Roma nel
1870. In questo periodo le sue corrispondenze andarono a
formare i libri di viaggio, tra gli altri vale ricordare, Spagna
(1872), Ricordi di
Londra (1873), Costantinopoli (1878/79) Ricordi
di Parigi (1879). Ma Edmondo De Amicis, è legato
indissolubilmente a Cuore, romanzo scritto nel 1886 pubblicato nel 1888. Cuore
è Edmondo De Amicis, per questo l’attenzione di questo
articolo è focalizzata sul libro più famoso, tra l’altro
tradotto in più lingue.
Che
senso ha parlare di un autore il cui libro, Cuore,
più conosciuto e tradotto, negli anni, è stato oggetto di
critiche spietate e graffianti. Delle quali le più benevole
erano: pieno di luoghi comuni, guerrafondaio, buonista,
sdolcinato che a parlarne si rischia una crisi acuta di
glicemia, usando parole del linguaggio contemporaneo.
Beh!,
Cuore, di Edmondo De Amicis supera la prova del tempo, rinasce e si
ripropone, in tempi moderni, come indice di valori. Valori
come lealtà, onestà, trasparenza, integrità, sacrificio,
e povertà, tra questi, sui quali, recentemente, sono stati
versati e si stanno versando fiumi di inchiostro, ma per i
quali i partiti, politici e scrittori contemporanei, non
sono ancora riusciti a offrire risposte soddisfacenti, e
sistematiche.
Di
certo ci saranno le celebrazioni ufficiali, e alcune sono già
state officiate. Ma la riflessione che vi sottopongo è
personale e intima, come un dialogo con se stessi. Perchè
penso che il linguaggio che De Amicis ha usato nel suo libro
sia un linguaggio contemporaneo e universale, con
l’eloquio prezioso del tempo in cui ha scritto Cuore.
La
modernità di Cuore
La
narrativa per l’infanzia e l’adolescenza è stata sempre
oggetto di studio piuttosto che di riflessione di carattere
socio-politico. Dalla ricerca storica sulle origini della
fiaba si è passati con Propp all’analisi strutturale
della fiaba. La fiaba è un genere tutt’altro che
indifferente al mondo e alla formazione dei giovani
cittadini. Le circostanze, i personaggi caratteristici, le
funzioni, per usare i termini di Propp,
con i quali si costruisce la fiaba, sono robusti e durano
nel tempo.
Cuore
non sfugge a tale struttura: l’eroe
è Enrico, adolescente torinese che si iscrive alla terza
classe nella scuola elementare Baretti di Torino. Scuola
tuttora in esercizio. Poi ci sono il nemico
o i nemici, poi ci sono gli aiutanti.
Questa struttura è confermata anche dal fatto che la
presenza di Enrico, come gli eroi dei romanzi, non ha un
luogo, si concretizza nella scuola Baretti per il periodo
scolastico al termine del quale si trasferirà in un’altra
città.
Poi
ci sono le circostante dell’ambiente, Torino da qualche
anno non è più la capitale dell’Italia unificata. Le
guerre risorgimentali, forti di una spinta ideale legata
alla conquista dei diritti individuali, sotto i regni di
Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II, hanno trasformato
gli italiani in protagonisti del proprio destino.
Se
osserviamo l’Italia attuale, ci accorgiamo come sia in
preda a desideri politici di frantumazione e di divisione. I
cittadini più attenti all’integrità dello Stato delle
varie parti politiche avvertono, con allarme, l’urgenza di
una nuova fondazione culturale e di sentimenti di solidarietà:
allarme e sentimenti che le rappresentanze politiche
prigioniere dei privilegi non avvertono se non in scarsa
misura.
È
una Italia pre risorgimentale quella che si presenta agli
occhi dei giovani e dei cittadini, contemporanei, una Italia
da rifondare.
Una
nuova fondazione culturale sui valori condivisi
L’esigenza
di essere protagonisti di qualcosa di importante, per gli
altri e per sé, è avvertita da tutti e i giovani, di cui
si parla molto e per i quali poco e non nulla si fa, con i
loro disagi, tristezze, nichilismi, denunciano la drammatica
vastità della questione.
I
racconti mensili di Cuore
, parlano di piccoli eroi, da Sangue
Romagnolo, al Tamburino Sardo, al Piccolo
Scrivano Fiorentino, raccontano di protagonisti giovani,
non incoscienti, per i quali la morte è l’estremo
sacrificio per il bene dell’altro, degli altri, per la
nazione.
L’eroe
quindi è Enrico, attraverso la cui voce Edmondo De Amicis
sviluppa la sua avventura, mentre l’aiutante
dell’eroe, sempre secondo Propp, in Cuore
è Garrone, ragazzo forte e buono, che difende i più deboli
dalle arroganze dei violenti. Senza essere irriverente, i
western americani, che possiamo definire evergreen,
hanno sempre il buono, l’eroe, il cattivo, il nemico, e il
cow-boy con la pistola, cioè quello che difende l’eroe.
In Cuore il cowboy
con la pistola è Garrone.
L’importanza
di spendere entusiasmo e energie per l’altro diverso da
noi; l’Italia ora più che mai ha bisogno di questo
entusiasmo e energie. Se è vero che il danaro aiuta a
risolvere i problemi non è vero che determina la
costruzione della giustizia. Mai come ora il diverso, il
migrante, ora verso il nostro paese, è visto come nemico, e
raramente e soltanto in modo economicamente strumentale,
come opportunità.
Umberto
Galimberti, con il suo ultimo libro, L’ospite inquietante
tenta e in parte riesce a dare una immagine della
sofferenza dei giovani. Proprio la sofferenza di non
appartenere a un sogno prima e alla sua realizzazione
durante la loro vita.
La
globalizzazione
Nella
pagina che riporta una lettera del padre di Enrico, e
intitolata La scuola,
Edmondo De Amicis, parla della scuola come:
“…Pensa,
la mattina, quando esci, che in quello stesso momento, nella
tua stessa città, altri trentamila ragazzi vanno come te a
chiudersi per tre ore in una stanza a studiare. Ma che!
Pensa a quegli innumerevoli ragazzi che press'a poco a
quell'ora vanno a scuola in tutti i paesi; vedili con
l'immaginazione, che vanno, vanno, per i vicoli dei villaggi
quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive
dei mari e dei laghi; dove sotto un sole ardente, dove tra
le nebbie, in barca nei paesi intersecati da canali, a
cavallo per le grandi pianure, in slitta sopra le nevi, per
valli e per colline, a traverso a boschi e a torrenti, su
per sentieri solitari delle montagne, soli, a coppie, a
gruppi, a lunghe file, tutti coi libri sotto il braccio,
vestiti in mille modi, parlanti in mille lingue, dalle
ultime scuole della Russia quasi perdute fra i ghiacci alle
ultime scuole dell'Arabia ombreggiate dalle palme: milioni e
milioni; tutti a imparare in cento forme diverse le medesime
cose; immagina questo vastissimo formicolio di ragazzi di
cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte, e
pensa: "Se questo movimento cessasse, l'umanità
ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso,
la speranza, la gloria del mondo". Coraggio dunque,
piccolo soldato dell'immenso esercito. I tuoi libri son le
tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di
battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà
umana. Non essere un soldato codardo, Enrico mio.”
I
compagni
di classe di Enrico, sono calabresi, siciliani, milanesi, e
i racconti mensili a loro volta rimandano a giovani donne
uomini delle altre regioni dell’Italia da poco unificata.
E. De Amicis attraverso Enrico, vuole raffermare con forza
le differenze delle regioni di provenienza, come ricchezza
per la nazione e per il
costituito Stato Italiano.
Della
solidarietà e dell’empatia
Sono
episodi come quello dell’incidente accorso a Robetti, che
per salvare un compagno finisce con il piede sotto la ruota
dell’autobus; oppure il soccorso delle bambine della
sezione femminile al piccolo spazzacamino che ha perso i
trenta soldi guadagnati a fatica; o l’episodio del padre
borghese che impone al figlio di chiedere scusa al figlio
del carbonaio e a suo padre,
che ha insultato con la frase:“figlio di uno
straccione”, il percorso che l’autore raccontando,
invita alla solidarietà come bene più forte
dell’appartenenza alla classe più agiata.
Il
valore dell’empatia cui ora si sta dando grande enfasi,
forse con scarso successo – sempre più presente, tra
l’altro, nei corsi di formazione sulle relazioni nelle
imprese sia pubbliche che private – è lo stesso che De
Amicis, pone al centro di alcune delle sue narrazioni.
L’empatia che stiamo scoprendo ora, dopo anni di
isolamento e di individualismi e di egoismi istituzionali,
è uno dei valori ai quali si appellano ora le parti
politiche, anche se con scarsa credibilità, ma l’urgenza
non offre alternative.
Mi
piace ricordare queste parole di Muhammad Yunus, economista
Premio Nobel per la Pace nel 2006: “Fare business e fare
del bene si può... Voglio creare una nuova categoria: il
business sociale, cioè un business che abbia come fine il
bene del prossimo e non la ricchezza personale”.
Cuore
ancora una volta ci spiazza, e si smarca da una lettura
critica per un testo troppo ingenuo.
L’eroe
L’eroe
deamicisiano è Enrico eroe senza macchia, con lo sguardo
rivolto all’adulto, senza timore ma anche senza invidia,
nella speranza che l’adulto possa aiutarlo ma che, anche
quando questi non può, ne ha misericordia. Enrico è
l’eroe greco, puro di animo, ma con la legge morale
kantiana dentro di sé.
Ho
sempre pensato ad un parallelo tra eroi dell’immaginario,
forse ardito ma pertinente.
L’uno è Enrico di De Amicis l’altro è Massimo
l’eroe di Gladiator,
il film di Ridley Scott.
Massimo è un adulto, grande condottiero al servizio
di Roma, città mito ma che vedrà soltanto da
schiavo. Scott fa vivere al suo eroe una seconda vita,
passando attraverso la metamorfosi del gladiatore, sempre
valoroso ma dentro l’arena dei giochi, luogo della
simulazione del potere.
De Amicis, non ha bisogno di acrobazie, il suo Enrico
è già nell’arena di quella simulazione della vita che è
la scuola.
Massimo
ha un mito, Marco Aurelio, l’imperatore filosofo,
tormentato per aver governato 25 anni con la guerra e non
con la legge, ma Massimo lo giustifica per il bene superiore
che Roma rappresenta con il suo diritto riconosciuto a tutti
i cittadini dell’impero romano.
Enrico
ha un mito, che è suo padre – che ha rispetto e amore
sconfinati nella giustizia e nel potere catartico della
lotta risorgimentale, contro le divisioni e la barbarie –
e Vittorio Emanuele II, ricordato da suo padre, in seconda
battuta. Il padre non compare se non con le lettere che gli
scrive e nelle quali fa riferimento alla lealtà verso gli
altri e all’onestà verso se stessi. E indica un bene
superiore: quello dell’unità di uno Stato basato sul
rispetto del diritto e la giustizia.
Massimo
esce di scena, combattendo la sua battaglia finale
nell’arena più importante di tutti i tempi, il Colosseo,
ma, quest’ultima volta, l’avversario è lo stesso
imperatore, quanto di più reale in termini di potere
temporale.
Enrico
esce dalla classe terza,
l’arena della simulazione della vita, per frequentare le
successive in un’altra città, ma la sua formazione è
pronta. La chiarezza di costruire una Italia nuova è
trasparente, e lo farà. Cittadini nuovi per una Italia
Nuova. La scuola come terreno determinante per la vittoria
sulla barbarie e l’ingiustizia.
La
scuola, senza aggettivi. Non male per uno scrittore
considerato buonista.
L’anno
deamicisiano
Le
celebrazioni faranno la loro parte. Personalmente penso che Cuore
debba essere riletto con occhio contemporaneo anche
spregiudicato, perché i racconti, le narrazioni, sono
episodi di vita normale, dove la normalità è eroica
nell’affermazione dei principi del diritto, della
giustizia, della lealtà, della trasparenza, di integrità,
cioè delle cose di cui un uomo dovrebbe essere fatto.
Quindi
chiuderò, in omaggio a Edmondo De Amicis parafrasando,
nemmeno troppo, il breve e edificante discorso tenuto in
occasione della morte di Vittorio Emanuele II, da Derossi,
l’allievo migliore della classe. D’altro canto non
potevo sceglierne un altro.
Ecco
l’orazione di un moderno Derossi, che vicino alla cattedra
del maestro Perboni inizia a declamare:
“Cento
anni or sono, in questo giorno e in questa ora,
giungeva davanti al cimitero di Oneglia il carro funebre che
portava il cadavere di Edmondo De Amicis.
Uomo
risorgimentale e autore di libri per l’infanzia e
l’adolescenza, tra i quali il più famoso rimare Cuore,
che insieme a Pinocchio
e Cappuccetto Rosso e più recentemente a Harry Potter e a film come Mary
Poppins, e L’Attimo
Fuggente, sono opportunità di sviluppo e maturità per
la gioventù d’oggi. Morto dopo una vita dedicata
all’unificazione della grande patria italiana, spezzata in
sette Stati e oppressa da stranieri e da tiranni e oggi
risorta in uno Stato solo, indipendente e libero. Gli
stendardi del regno si spiegano e si inchinano al passaggio
della carrozza funebre del grande scrittore: ‘addio buon
amico, prode e leale’…”
Un contributo personale
Mio padre mi regalò una copia di Cuore,
che posseggo ancora oggi. Pur ricordandolo bene, penso di
non averlo più aperto, ma è stato forse l’unico libro
che mio padre mi abbia letto a alta voce. Mi stupivo sempre
della sua commozione mentre lo leggeva, ora riprendendolo
non mi stupisco più.
Sono stato iscritto alle elementari della scuola
Gaspare Gozzi, una delle scuole antiche di Torino tuttora in
funzione, all’età di 5 anni, quindi un anno prima
dell’età canonica. Credo fosse in prima e seconda
elementare, quando la maestra ci fece alzare un giorno
invitandoci a salutare, “la maestrina della penna rossa”
celebrata nel libro Cuore
di Edmondo De Amicis. Era una signora anziana, penso a quel
tempo novantenne, ne fui colpito e il ricordo è ancora
vivo. Sarebbe morta nel 1957. In via Montebello 38, a
Torino, dove abitò fino al 1953, una targa la ricorda.
Ferdinando Cabrini
P.S.
Il libro narra della vita di un anno scolastico, la
terza elementare, classe fatidica e fatale per molti alunni,
unico momento di studio comune tra le classi sociali, punto
di arrivo per i figli di artigiani e operai attenti
all’istruzione dei figli, e snodo per figli della
borghesia.
Tra gli scrittori famosi che hanno fatto una lettura
critica di Cuore
vale ricordare Umberto Eco, Elogio
di Franti, in Diario
minimo, 1963.
L'ospite
inquietante - il nichilismo e i giovani,
Feltrinelli, Milano, 2007, ISBN
8807171430
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