FOGLIO LAPIS - APRILE - 2008

 
 

Nel centenario della morte dell’autore di Cuore, la riscoperta di un eroe per il rinascimento contemporaneo – Lealtà, onestà, trasparenza, integrità, sacrificio, povertà: sono i valori dimenticati che De Amicis seppe proporre con un linguaggio universale e “contemporaneo” – Le celebrazioni ricordano un grande scrittore di libri di viaggio, ma soprattutto l’autore dell’epopea di quella terza elementare – Dovranno anche fare i conti con le critiche al “buonismo” dell’opera

 

Ricorre quest’anno il centenario della morte di Edmondo De Amicis. Per celebrarlo l’editore Einaudi ha da pochi giorni pubblicato il libro Costantinopoli, una delle corrispondenze di viaggio dello scrittore.

Edmondo De Amicis, dopo l’esperienza militare nell’esercito sabaudo, divenne inviato per il quotidiano La Nazione di Firenze, assistendo tra l'altro alla presa di Roma nel 1870. In questo periodo le sue corrispondenze andarono a formare i libri di viaggio, tra gli altri vale ricordare, Spagna (1872), Ricordi di Londra (1873), Costantinopoli (1878/79) Ricordi di Parigi (1879). Ma Edmondo De Amicis, è legato indissolubilmente a Cuore, romanzo scritto nel 1886 pubblicato nel 1888. Cuore è Edmondo De Amicis, per questo l’attenzione di questo articolo è focalizzata sul libro più famoso, tra l’altro tradotto in più lingue.

Che senso ha parlare di un autore il cui libro, Cuore, più conosciuto e tradotto, negli anni, è stato oggetto di critiche spietate e graffianti. Delle quali le più benevole erano: pieno di luoghi comuni, guerrafondaio, buonista, sdolcinato che a parlarne si rischia una crisi acuta di glicemia, usando parole del linguaggio contemporaneo.

Beh!, Cuore, di Edmondo De Amicis supera la prova del tempo, rinasce e si ripropone, in tempi moderni, come indice di valori. Valori come lealtà, onestà, trasparenza, integrità, sacrificio, e povertà, tra questi, sui quali, recentemente, sono stati versati e si stanno versando fiumi di inchiostro, ma per i quali i partiti, politici e scrittori contemporanei, non sono ancora riusciti a offrire risposte soddisfacenti, e sistematiche.

Di certo ci saranno le celebrazioni ufficiali, e alcune sono già state officiate. Ma la riflessione che vi sottopongo è personale e intima, come un dialogo con se stessi. Perchè penso che il linguaggio che De Amicis ha usato nel suo libro sia un linguaggio contemporaneo e universale, con l’eloquio prezioso del tempo in cui ha scritto Cuore.

 

La modernità di Cuore

 

La narrativa per l’infanzia e l’adolescenza è stata sempre oggetto di studio piuttosto che di riflessione di carattere socio-politico. Dalla ricerca storica sulle origini della fiaba si è passati con Propp[1] all’analisi strutturale della fiaba. La fiaba è un genere tutt’altro che indifferente al mondo e alla formazione dei giovani cittadini. Le circostanze, i personaggi caratteristici, le funzioni, per usare i termini di Propp[2], con i quali si costruisce la fiaba, sono robusti e durano nel tempo.

Cuore non sfugge a tale struttura: l’eroe è Enrico, adolescente torinese che si iscrive alla terza classe nella scuola elementare Baretti di Torino. Scuola tuttora in esercizio. Poi ci sono il nemico o i nemici, poi ci sono gli aiutanti. Questa struttura è confermata anche dal fatto che la presenza di Enrico, come gli eroi dei romanzi, non ha un luogo, si concretizza nella scuola Baretti per il periodo scolastico al termine del quale si trasferirà in un’altra città.

Poi ci sono le circostante dell’ambiente, Torino da qualche anno non è più la capitale dell’Italia unificata. Le guerre risorgimentali, forti di una spinta ideale legata alla conquista dei diritti individuali, sotto i regni di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II, hanno trasformato gli italiani in protagonisti del proprio destino.

Se osserviamo l’Italia attuale, ci accorgiamo come sia in preda a desideri politici di frantumazione e di divisione. I cittadini più attenti all’integrità dello Stato delle varie parti politiche avvertono, con allarme, l’urgenza di una nuova fondazione culturale e di sentimenti di solidarietà: allarme e sentimenti che le rappresentanze politiche prigioniere dei privilegi non avvertono se non in scarsa misura.

È una Italia pre risorgimentale quella che si presenta agli occhi dei giovani e dei cittadini, contemporanei, una Italia da rifondare.

 

Una nuova fondazione culturale sui valori condivisi

 

L’esigenza di essere protagonisti di qualcosa di importante, per gli altri e per sé, è avvertita da tutti e i giovani, di cui si parla molto e per i quali poco e non nulla si fa, con i loro disagi, tristezze, nichilismi, denunciano la drammatica vastità della questione.

I racconti mensili di Cuore , parlano di piccoli eroi, da Sangue Romagnolo, al Tamburino Sardo, al Piccolo Scrivano Fiorentino, raccontano di protagonisti giovani, non incoscienti, per i quali la morte è l’estremo sacrificio per il bene dell’altro, degli altri, per la nazione.

L’eroe quindi è Enrico, attraverso la cui voce Edmondo De Amicis sviluppa la sua avventura, mentre l’aiutante dell’eroe, sempre secondo Propp, in Cuore è Garrone, ragazzo forte e buono, che difende i più deboli dalle arroganze dei violenti. Senza essere irriverente, i western americani, che possiamo definire evergreen, hanno sempre il buono, l’eroe, il cattivo, il nemico, e il cow-boy con la pistola, cioè quello che difende l’eroe. In Cuore il cowboy con la pistola è Garrone.

L’importanza di spendere entusiasmo e energie per l’altro diverso da noi; l’Italia ora più che mai ha bisogno di questo entusiasmo e energie. Se è vero che il danaro aiuta a risolvere i problemi non è vero che determina la costruzione della giustizia. Mai come ora il diverso, il migrante, ora verso il nostro paese, è visto come nemico, e raramente e soltanto in modo economicamente strumentale, come opportunità.

Umberto Galimberti, con il suo ultimo libro, L’ospite inquietante[3]  tenta e in parte riesce a dare una immagine della sofferenza dei giovani. Proprio la sofferenza di non appartenere a un sogno prima e alla sua realizzazione durante la loro vita.

 

La globalizzazione

 

Nella pagina che riporta una lettera del padre di Enrico, e intitolata La scuola, Edmondo De Amicis, parla della scuola come:

“…Pensa, la mattina, quando esci, che in quello stesso momento, nella tua stessa città, altri trentamila ragazzi vanno come te a chiudersi per tre ore in una stanza a studiare. Ma che! Pensa a quegli innumerevoli ragazzi che press'a poco a quell'ora vanno a scuola in tutti i paesi; vedili con l'immaginazione, che vanno, vanno, per i vicoli dei villaggi quieti, per le strade delle città rumorose, lungo le rive dei mari e dei laghi; dove sotto un sole ardente, dove tra le nebbie, in barca nei paesi intersecati da canali, a cavallo per le grandi pianure, in slitta sopra le nevi, per valli e per colline, a traverso a boschi e a torrenti, su per sentieri solitari delle montagne, soli, a coppie, a gruppi, a lunghe file, tutti coi libri sotto il braccio, vestiti in mille modi, parlanti in mille lingue, dalle ultime scuole della Russia quasi perdute fra i ghiacci alle ultime scuole dell'Arabia ombreggiate dalle palme: milioni e milioni; tutti a imparare in cento forme diverse le medesime cose; immagina questo vastissimo formicolio di ragazzi di cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte, e pensa: "Se questo movimento cessasse, l'umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo". Coraggio dunque, piccolo soldato dell'immenso esercito. I tuoi libri son le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana. Non essere un soldato codardo, Enrico mio.”

I compagni di classe di Enrico, sono calabresi, siciliani, milanesi, e i racconti mensili a loro volta rimandano a giovani donne uomini delle altre regioni dell’Italia da poco unificata. E. De Amicis attraverso Enrico, vuole raffermare con forza le differenze delle regioni di provenienza, come ricchezza per la nazione e per il costituito Stato Italiano.

 

Della solidarietà e dell’empatia

 

Sono episodi come quello dell’incidente accorso a Robetti, che per salvare un compagno finisce con il piede sotto la ruota dell’autobus; oppure il soccorso delle bambine della sezione femminile al piccolo spazzacamino che ha perso i trenta soldi guadagnati a fatica; o l’episodio del padre borghese che impone al figlio di chiedere scusa al figlio del carbonaio e a suo padre, che ha insultato con la frase:“figlio di uno straccione”, il percorso che l’autore raccontando, invita alla solidarietà come bene più forte dell’appartenenza alla classe più agiata.

Il valore dell’empatia cui ora si sta dando grande enfasi, forse con scarso successo – sempre più presente, tra l’altro, nei corsi di formazione sulle relazioni nelle imprese sia pubbliche che private – è lo stesso che De Amicis, pone al centro di alcune delle sue narrazioni. L’empatia che stiamo scoprendo ora, dopo anni di isolamento e di individualismi e di egoismi istituzionali, è uno dei valori ai quali si appellano ora le parti politiche, anche se con scarsa credibilità, ma l’urgenza non offre alternative.

Mi piace ricordare queste parole di Muhammad Yunus, economista Premio Nobel per la Pace nel 2006: “Fare business e fare del bene si può... Voglio creare una nuova categoria: il business sociale, cioè un business che abbia come fine il bene del prossimo e non la ricchezza personale”.[4] 

Cuore ancora una volta ci spiazza, e si smarca da una lettura critica per un testo troppo ingenuo.

 

L’eroe

 

L’eroe deamicisiano è Enrico eroe senza macchia, con lo sguardo rivolto all’adulto, senza timore ma anche senza invidia, nella speranza che l’adulto possa aiutarlo ma che, anche quando questi non può, ne ha misericordia. Enrico è l’eroe greco, puro di animo, ma con la legge morale kantiana dentro di sé.

Ho sempre pensato ad un parallelo tra eroi dell’immaginario, forse ardito ma pertinente.

L’uno è Enrico di De Amicis l’altro è Massimo l’eroe di Gladiator, il film di Ridley Scott.

Massimo è un adulto, grande condottiero al servizio  di Roma, città mito ma che vedrà soltanto da schiavo. Scott fa vivere al suo eroe una seconda vita, passando attraverso la metamorfosi del gladiatore, sempre valoroso ma dentro l’arena dei giochi, luogo della simulazione del potere.

De Amicis, non ha bisogno di acrobazie, il suo Enrico è già nell’arena di quella simulazione della vita che è la scuola.

Massimo ha un mito, Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, tormentato per aver governato 25 anni con la guerra e non con la legge, ma Massimo lo giustifica per il bene superiore che Roma rappresenta con il suo diritto riconosciuto a tutti i cittadini dell’impero romano.

Enrico ha un mito, che è suo padre – che ha rispetto e amore sconfinati nella giustizia e nel potere catartico della lotta risorgimentale, contro le divisioni e la barbarie – e Vittorio Emanuele II, ricordato da suo padre, in seconda battuta. Il padre non compare se non con le lettere che gli scrive e nelle quali fa riferimento alla lealtà verso gli altri e all’onestà verso se stessi. E indica un bene superiore: quello dell’unità di uno Stato basato sul rispetto del diritto e la giustizia.

Massimo esce di scena, combattendo la sua battaglia finale nell’arena più importante di tutti i tempi, il Colosseo, ma, quest’ultima volta, l’avversario è lo stesso imperatore, quanto di più reale in termini di potere temporale.

Enrico esce dalla classe terza, l’arena della simulazione della vita, per frequentare le successive in un’altra città, ma la sua formazione è pronta. La chiarezza di costruire una Italia nuova è trasparente, e lo farà. Cittadini nuovi per una Italia Nuova. La scuola come terreno determinante per la vittoria sulla barbarie e l’ingiustizia.

La scuola, senza aggettivi. Non male per uno scrittore considerato buonista.

 

L’anno deamicisiano

 

Le celebrazioni faranno la loro parte. Personalmente penso che Cuore debba essere riletto con occhio contemporaneo anche spregiudicato, perché i racconti, le narrazioni, sono episodi di vita normale, dove la normalità è eroica nell’affermazione dei principi del diritto, della giustizia, della lealtà, della trasparenza, di integrità, cioè delle cose di cui un uomo dovrebbe essere fatto.

Quindi chiuderò, in omaggio a Edmondo De Amicis parafrasando, nemmeno troppo, il breve e edificante discorso tenuto in occasione della morte di Vittorio Emanuele II, da Derossi, l’allievo migliore della classe. D’altro canto non potevo sceglierne un altro.

Ecco l’orazione di un moderno Derossi, che vicino alla cattedra del maestro Perboni inizia a declamare:

Cento anni or sono, in questo giorno e in questa ora, giungeva davanti al cimitero di Oneglia il carro funebre che portava il cadavere di Edmondo De Amicis.

Uomo risorgimentale e autore di libri per l’infanzia e l’adolescenza, tra i quali il più famoso rimare Cuore, che insieme a Pinocchio e Cappuccetto Rosso e più recentemente a Harry Potter e a film come Mary Poppins, e L’Attimo Fuggente, sono opportunità di sviluppo e maturità per la gioventù d’oggi. Morto dopo una vita dedicata all’unificazione della grande patria italiana, spezzata in sette Stati e oppressa da stranieri e da tiranni e oggi risorta in uno Stato solo, indipendente e libero. Gli stendardi del regno si spiegano e si inchinano al passaggio della carrozza funebre del grande scrittore: ‘addio buon amico, prode e leale’…”

 

 

Un contributo personale

 

Mio padre mi regalò una copia di Cuore, che posseggo ancora oggi. Pur ricordandolo bene, penso di non averlo più aperto, ma è stato forse l’unico libro che mio padre mi abbia letto a alta voce. Mi stupivo sempre della sua commozione mentre lo leggeva, ora riprendendolo non mi stupisco più.

Sono stato iscritto alle elementari della scuola Gaspare Gozzi, una delle scuole antiche di Torino tuttora in funzione, all’età di 5 anni, quindi un anno prima dell’età canonica. Credo fosse in prima e seconda elementare, quando la maestra ci fece alzare un giorno invitandoci a salutare, “la maestrina della penna rossa” celebrata nel libro Cuore di Edmondo De Amicis. Era una signora anziana, penso a quel tempo novantenne, ne fui colpito e il ricordo è ancora vivo. Sarebbe morta nel 1957. In via Montebello 38, a Torino, dove abitò fino al 1953, una targa la ricorda.

 

                                                                                                            Ferdinando Cabrini

 

P.S.   Il libro narra della vita di un anno scolastico, la terza elementare, classe fatidica e fatale per molti alunni, unico momento di studio comune tra le classi sociali, punto di arrivo per i figli di artigiani e operai attenti all’istruzione dei figli, e snodo per figli della borghesia.

Tra gli scrittori famosi che hanno fatto una lettura critica di Cuore vale ricordare Umberto Eco, Elogio di Franti, in Diario minimo, 1963.



[1] Vladimir Jakovlevič Propp (Владимир Яковлевич Пропп) (San Pietroburgo29 aprile 1895 – Leningrado22 agosto 1970) è stato un linguista russo. Propp insegnò lingua e letteratura russa e in seguito letteratura tedesca nell'Università di Leningrado. Fu studioso del folklore e dedicò molti suoi studi all'indagine degli elementi delle fiabe popolari.

[2] Dizionario della fiaba: a cura di Gian Paolo Caprettini ISBN 88-86479-71-9

[3] L'ospite inquietante - il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano, 2007, ISBN 8807171430

 

[4] Citazione da “Metro” (quotidiano gratuito di Torino) del 2 aprile 2008.

 

                                                          
                                         

    


                                                  

 
 

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