Nel
settore terziario c’è un capitolo da tempo in ascesa,
quello della fornitura di conoscenze – Per molti paesi,
in particolare anglofoni, si tratta di una voce
consistente nella bilancia commerciale – Ora anche
l’India si fa avanti per esportare certi suoi riusciti
modelli di trasmissione del sapere – Forse potrebbe
essere proprio questo settore a finanziare, in un quadro
internazionale d’interventi concordati, una vasta
campagna contro l’analfabetismo nel mondo
Come riferiamo in un altro articolo di questo stesso
numero (La nuova scuola di Gordon Brown), il governo
britannico ha promosso un’iniziativa internazionale per
affrontare la piaga dell’analfabetismo di massa nei paesi
poveri. In un certo senso è naturale che il progetto,
animato dal Cancelliere dello Scacchiere e probabile futuro
primo ministro d’intesa con il premio Nobel sudafricano
Nelson Mandela, parta dalla capitale del Regno Unito. Londra
è infatti meta tradizionale di un massiccio turismo
linguistico, mentre le celebri università britanniche, in
particolare la London School of Economics e gli storici
atenei di Oxford e Cambridge, conoscono da sempre una folta
frequentazione di studenti stranieri. Il privilegio della
lingua planetaria, e la qualità dell’istruzione
superiore, assicurano dunque alla Gran Bretagna non soltanto
il prestigio di un ruolo dominante nella diffusione
internazionale delle conoscenze, ma anche una consistente
fonte di risorse economiche. È bello che a questo credito
corrisponda la consapevolezza di un debito, verso il mondo
meno fortunato.
Analoghe considerazioni si possono fare per gli Stati
Uniti, dove proprio per questo è lecito attendersi una
pronta risposta alla generosa proposta del Cancelliere Brown.
Secondo una valutazione recente gli studenti stranieri che
affollano le università americane portano ogni anno
all’economia federale un contributo valutario di dodici
miliardi di dollari. Il dipartimento del commercio degli
Stati Uniti, fa notare che il business dell’istruzione
superiore è al quarto posto per volume d’affari fra i
servizi esportati. Ovviamente la stima tiene conto non
soltanto dell’investimento diretto per gli studi, ma anche
delle spese di soggiorno dei giovani stranieri. Per oltre i
tre quarti, secondo il dipartimento del commercio, costoro
ricevono da casa, cioè dall’estero, il denaro che
spendono per mantenersi agli studi. Soltanto uno su quattro
finanzia tasse universitarie e soggiorno trovandosi un
lavoro negli States.
Altri esempi classici di esportazione diretta del
sapere la Francia, da sempre meta di studenti che provengono
dai paesi francofoni asiatici e africani, e la Russia, erede
dell’egemonia culturale nei paesi di tradizione socialista
che fu della defunta Unione Sovietica. Ma questi esempi, in
particolare il britannico e l’americano, sono visti con
interesse anche in altre parti del mondo. Per esempio in
India, un paese che vive la paradossale contraddizione di
un’educazione primaria del tutto carente, dunque di una
vasta area sociale di analfabetismo, e di un’istruzione
superiore che vanta alcuni poli di assoluta eccellenza. Come
gli Iim e gli Iit (Istituti indiani di management e Istituti
indiani di tecnologia), che sono presenti nelle maggiori
città della grande penisola asiatica.
Ogni anno 300 mila studenti si presentano alle
durissime prove di accesso agli Iit, dove i posti sono
complessivamente soltanto cinquemila. Analogo il discorso
per gli Iim: 150 mila candidati, un po’ meno di duemila
posti all’anno. Secondo l’Economist di Londra gli
esami per accedere ai corsi per il master di amministrazione
all’Iim di Ahmedabad sono i più duri del mondo. Forti del
prestigio guadagnato in patria, queste scuole guardano ora
oltre frontiera. L’Iim di Bangalore sta per aprire un
campus a Singapore, quello di Ahmedabad organizza corsi a
Pechino, a Bangkok, al Cairo e ne progetta altri in alcuni
paesi del Golfo Persico. Le scuole superiori indiane
guardano anche senza complessi ai paesi che tradizionalmente
non importano ma esportano cultura, per esempio la Gran
Bretagna: l’Iim di Kolkata ha concluso con l’università
di Cardiff un memorandum d’intesa che prevede lo scambio
di studenti e docenti.
L’esempio dell’India porta inevitabilmente a una
considerazione. Il giro d’affari generato da questo
successo internazionale sembra destinato a costituire la
risorsa fondamentale per risolvere o almeno avviare a
soluzione il problema nazionale dell’analfabetismo. Le
scuole di eccellenza possono insomma finanziare
l’istruzione primaria, che in una situazione demografica
galoppante come l’indiana ha bisogno non
soltanto di colmare le storiche lacune, ma anche di
venire incontro alle esigenze di nuove generazioni sempre più
numerose. Il discorso si può allargare a una scala
planetaria. Purtroppo non tutti i paesi afflitti dalla piaga
dell’istruzione negata sono nelle condizioni dell’India,
potenzialmente in grado di autofinanziarsi grazie alla
qualità delle sue scuole superiori: per la maggior parte
dei casi si può soltanto far conto sulla solidarietà
internazionale.
È
proprio da questa constatazione che parte la proposta
anglo-sudafricana. Brown e Mandela invitano il mondo ricco a
riconoscere che il diritto all’istruzione per tutti è
anche di chi vive nei paesi poveri. E a riflettere sul fatto
che aiutare il mondo degli analfabeti a impadronirsi degli
strumenti elementari della conoscenza non è soltanto un bel
gesto, è anche un investimento nella giustizia, dunque
nella stabilità, dunque nell’interesse di tutti. Allo
scopo serve molto denaro (ma sempre
meno di quello assorbito dalle molte guerre e
guerriglie che punteggiano il globo), e forse proprio il
business dell’insegnamento superiore potrebbe essere la
miniera da cui estrarre quelle risorse, sulla base di una
strategia concordata a livello mondiale attraverso l’Unesco,
o l’Unicef, o anche, se si preferisce aggirare le
lungaggini burocratiche e i freni politici delle
organizzazioni internazionali, una fitta ragnatela di
accordi bilaterali.
r. f. l.
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