Si
tratta di un laptop delle dimensioni di un libro, con
display anche a colori, e l’alimentazione affidata a una
batteria ricaricabile manualmente con una dinamo –
L’iniziativa, dovuta a un gruppo di aziende leader
nell’informatica, è destinata soprattutto ai paesi
poveri, alle prese con problemi di energia – Il
progetto, da realizzarsi entro l’anno prossimo, ha
suscitato molto interesse ma anche le prevedibili critiche
da parte delle imprese concorrenti
Il
primo computer viene alla luce durante la seconda guerra
mondiale, è di origine inglese ed è accompagnato da un
nome altisonante Colossus. Quello che neanche i suoi
inventori potevano immaginare è che, nel tempo
relativamente breve di qualche decina d'anni, sarebbe
divenuto uno strumento in grado di condizionare e modificare
drasticamente modelli di comportamento, stili di vita e
rapporti interpersonali dell'uomo occidentale.
La
vera rivoluzione è avvenuta da quando si sono modificati i
suoi campi d'impiego, da militare a civile, e da quando si
sono cominciate a produrre macchine relativamente facili da
utilizzare anche da utenti meno esperti.
Quello
che invece ci lascia alquanto perplessi è il constatare
come la tendenza negli ultimi anni delle grandi aziende
produttrici di software e di hardware sia quella di
immettere sul mercato prodotti sempre più capienti,
“pesanti”, decisamente accattivanti e ricchi di funzioni
che forse non adopereremo mai o, nella migliore delle
ipotesi, destinati a divenire obsoleti nel giro di pochi
mesi. Ci sembra che esse siano orientate più a creare
bisogni che a cercare di andare incontro alle reali esigenze
dell'individuo. Ed allora non resta che chiederci: è l'uomo
che deve adeguarsi ai nuovi ritrovati tecnologici o,
viceversa, sia la ricerca tecnologica a doversi piegare ai
bisogni concreti degli utenti finali?
E'
per questo che il progetto lanciato dal responsabile del MIT
Nicholas Negroponte durante il WSIS
di Tunisi alla presenza di Kofi Annan, segretario generale
delle Nazioni Unite il 17 novembre scorso, non può
assolutamente passare inosservato: la produzione, entro fine
anno inizio 2007, di un laptop economico a manovella
destinato ai paesi del sud del mondo. Partner
dell'iniziativa un pugno di aziende leader nel settore
informatico fra le quali Advanced
Micro Devices
(AMD), Google,
News
Corporation,
Brightstar,
Nortel
e Red
Hat.
Il
gioiellino tecnologico
si presenta piccolo come un libro di testo, è accessoriato
con una tastiera, un display dual-mode in grado di
funzionare sia a colori sia in bianco e nero con una
speciale modalità che lo rende leggibile anche in piena
luce, un sistema operativo gratuito Linux, un processore da
500MHz, 128 di DRAM e 500Mb di memoria Flash. Non permetterà
di immagazzinare troppi dati per la mancanza di un disco
rigido ma avrà quattro portre USB; inoltre permetterà di
collegarsi ad internet senza fili su banda larga e di
comunicare con gli apparecchi vicini creando una specifica
rete mesh, peer-to-peer. Per alimentarsi non avrà bisogno
della corrente elettrica o di generatori, ma si servirà di
una speciale manovella utile a ricaricare la batteria.
Al
momento esiste soltanto come prototipo funzionante
ed è stata individuata la casa produttrice: si tratta della
Quanta
Computer Inc
con sede a Taiwan, la quale si è impegnata a fornirlo al
costo di 100 dollari (poco più di 80 euro). Il modello non
sarà commercializzato ma acquistato dalle organizzazioni
governative e dai ministeri dell'educazione dei paesi
interessati che, a loro volta, lo distribuiranno ai bambini,
per esempio come libro di testo. I Paesi che al momento sono
affiliati al programma OLPC (One Laptop per Child) sono:
Brasile, Thailandia, Egitto, Cina, India, Argentina e
Nigeria, mentre altri si sono dichiarati interessati al
progetto.
Che
dire? Le interpretazioni possono essere molteplici e non
sempre conciliabili. E’ fuori dubbio che non si tratta
soltanto di esportare informatica e tecnologia, ma una
filosofia, un modello concettuale, culturale, paradigmi
conoscitivi e costrutti comunicativi che in qualche modo
legano indissolubilmente il ricevente con il donatore, in
una sorta di neo-colonialismo. Magari in buona fede, ma i
cui sviluppi possono rivelarsi tutt’altro che positivi.
C’è
chi ha stroncato decisamente il progetto come Craig Barrett,
amministratore delegato Intel,
il quale ha definito il computer di Negroponte un
“semplice gadget”, negandogli qualsiasi futuro o utilità.
Sulla stessa onda Bill Gates che ha asserito: “credo che
l’ultima cosa che un utente desideri è stare seduto
davanti a un computer con uno schermo minuscolo, cercando di
farlo funzionare mentre tenta di battere qualcosa sulla
tastiera”. Ma come, proprio lui che il Time
aveva immortalato sulla copertina per la sua attività
filantropica ora dileggia un’iniziativa per i paesi
poveri? Sintomo che dietro sta per accendersi una cruenta
battaglia economica e commerciale fra le maggiori aziende
del settore interessate a procacciarsi milioni di potenziali
clienti, i cui effetti a medio termine non potranno non
investire anche l’occidente.
La
strada per l’evangelizzazione informatica dei paesi poveri
ci sembra comunque tracciata ed i progetti iniziano a
moltiplicarsi: una ditta di Hong Kong, Asiatotal.net
Ltd.,
ha in cantiere un piano per distribuire gratuitamente
duecentomila computer in Brasile. Le spese saranno sostenute
da un gruppo di sponsor che in cambio inseriranno sulla
tastiera un pulsante in grado di collegare direttamente la
macchina al sito internet dei “donatori”. Se si faranno
avanti altri sponsor, iT,
è questo il nome del portatile, potrà essere distribuito
anche in altri paesi.
Da
parte nostra riteniamo che il “computer a manovella”
dimostra che se le aziende vogliono è possibile anche da
noi, perlomeno per gli usi più comuni, progettare ed
immettere sul mercato computer a basso costo, magari anche
più affidabili. Basterebbe equipaggiarli con software
opensource e tagliare drasticamente i costi di vendita, di
marketing ed i profitti aziendali. E perchè no, riciclando
vecchie macchine in disuso.
Se
la tecnologia è al servizio del progresso e non del
profitto, ecco che riesce ad immaginare nuovi modelli
informatici capaci di funzionare e di essere utili anche in
luoghi impervi ed impensabili come il sud del mondo, magari
per assestare un duo colpo all’analfabetismo.
Siamo
convinti che non basti regalare computer a bambini poveri
per colmare il digital
divide
o per risolvere i loro problemi (magari dopo poco li
ritroveremo sulle bancarelle di qualche mercato
occidentale), ma avremo dato loro un’opportunità per
apprendere, un sussidio con cui pensare. Il computer, per
dirla con Seymour Paper,
è come un pianoforte, uno strumento in grado di fornire la
capacità di esprimersi, spetta agli
insegnanti guidarli verso un processo che li ponga in
condizione di svilupparsi come individui.
Clemente
Porreca
|