FOGLIO LAPIS - APRILE 2003

 
 

In molti paesi dell’Occidente si fa un gran parlare di riforme scolastiche, ma i bilanci pubblici sono gravati da ben altre priorità – Un po’ dappertutto i responsabili dell’istruzione sono in rotta di collisione con i tesorieri che lesinano i fondi – In Italia e in Francia insegnanti in agitazione per i tagli alle spese che comportano riduzioni di organici – Negli Stati Uniti, nonostante gli ambiziosi programmi federali, la scure cala sul sistema educativo

 

Un vecchio proverbio insegna che non si fanno le nozze con i fichi secchi: la solennità della circostanza consiglia infatti per l’occasione un menu un poco più sofisticato. Recentemente l’adagio popolare è stato applicato alla riforma della scuola italiana: si vuole modernizzare la veneranda istituzione ma, a parte le critiche assai diffuse sul tipo di modernizzazione scelto dal governo in carica, c’è una riserva prioritaria di brutale semplicità: dove sono le risorse? Si sa che Letizia Moratti, ministro dell’istruzione, è stata più volte in rotta di collisione con il collega Giulio Tremonti, che nella sua qualità di responsabile delle finanze è l’arcigno custode del tesoro dello stato. Per dare al suo controverso progetto un minimo di base finanziaria, la Moratti ha dovuto puntare i piedi, minacciare le dimissioni, invocare la mediazione del presidente del consiglio. Per ottenere, alla fine, molto meno di quello che considerava il minimo necessario.

Una tragicommedia romana? Non solo: se ci si guarda attorno si arriva rapidamente alla conclusione che la responsabile italiana dell’educazione è in buona compagnia. Se il suo bilancio è insufficiente a alimentare i propositi innovativi che ha affidato alla sua riforma (e a garantire ai docenti un trattamento economico adeguato alla strategica delicatezza della loro funzione), anche in Francia, per esempio, in materia di scuola il piatto piange. Non diversamente da quel che è accaduto in altri paesi del mondo globalizzato, le difficoltà generali dell’economia hanno alleggerito i bilanci pubblici sul lato delle entrate, per cui il governo ha dovuto sforbiciare anche sul lato delle spese. C’è andato di mezzo proprio il sistema educativo, colpito dall’austerità governativa in uno dei suoi punti deboli, la condizione dei docenti non di ruolo. Così gli insegnanti sono scesi in piazza a Parigi e altrove, ben consapevoli del resto che fino a quando la congiuntura non sarà mutata molte aspettative saranno destinate a rimanere deluse.

Negli Stati Uniti d’America il corpo docente non è combattivo come quelli europei, dunque difficilmente scenderà in piazza. Ma anche lì ne avrebbe qualche ragione: si moltiplicano infatti da un capo all’altro del paese i tagli alle spese scolastiche. In tutto questo c’è qualcosa di paradossale: infatti una legge voluta dall’amministrazione Bush, il No Child Left Behind Act come vuole il suo titolo ambizioso, ha aumentato del 40 per cento le risorse federali a disposizione della scuola. Il guaio è che nel sistema educativo americano l’apporto dei finanziamenti federali non arriva al 10 per cento. Conta poco aumentare del 40 per cento un decimo delle risorse, se contemporaneamente calano gli altri nove decimi. È precisamente quello che sta accadendo: infatti molti fra i cinquanta stati (e anche il cinquantunesimo, cioè il distretto della capitale) sono alle prese con quella che il quotidiano Washington Post definisce “la peggior crisi fiscale in più di mezzo secolo”. Risultati: tagli alle spese, e fra le vittime più illustri è proprio quella stessa scuola che l’amministrazione federale vorrebbe rilanciata.

Nello stato di New York, per esempio, il governatore George E. Pataki si trova stretto fra la sua promessa elettorale di non aumentare le tasse e un deficit di bilancio che ha ormai raggiunto il 20 per cento. Se non si vogliono aumentare le entrate bisogna tagliare le spese: per questo ha proposto, sollevando prevedibili proteste, un taglio di 2,1 miliardi di dollari alle uscite per la scuola. Analoga sforbiciata quella proposta all’altro capo del paese, in California, dal governatore Gray Davis: 1,9 miliardi da tagliare quest’anno, e forse qualcosa di più l’anno prossimo. Notizie simili, diverse soltanto per l’ammontare dei tagli che dipende dalle dimensioni dei singoli sistemi scolastici, a loro volta legati la numero di abitanti, vengono dal Michigan, dal Minnesota, dalla Florida, dal distretto di Columbia (l’area amministrativa di Washington). E si noti che non solo soltanto gli stati a ridurre gli stanziamenti per la scuola: anche i singoli distretti scolastici sono alle prese con problemi di austerità.

È persino ovvio far notare, che essendo la quantità un fattore praticamente immutabile è la qualità dell’istruzione a risentire di tutto questo. Per esempio in Florida il governatore Jeb Bush (fratello del presidente George W.) ha bloccato, stretto dalle ristrettezze del bilancio, un provvedimento che il parlamento dello stato aveva votato alcuni mesi fa. Aveva l’ambizioso obiettivo di imprimere al sistema educativo una sterzata di qualità: prevedeva infatti una drastica riduzione del numero medio di alunni per classe in ogni ordine di scuola. Ovviamente si trattava di una misura assai costosa, per questo Bush l’ha annullata, e ora la faccenda si trascina fra accese polemiche politiche e ricorsi in giudizio.

Nei distretti scolastici americani, l’85 per cento delle spese di bilancio è assorbito dal pagamento degli stipendi: si tratta dunque di voci anelastiche, come dicono gli economisti, sulle quali è difficile mettere le mani. Quando si tratta di tagliare, bisogna dunque puntare sul restante 15 per cento: cioè la formazione degli insegnanti, le attività dopo-scuola e extra-scuola, persino le mense e la manutenzione degli edifici. A volte si imbocca addirittura una strada diametralmente opposta a quella sognata dai legislatori della Florida: a Portland, nell’Oregon, è stato infatti proposto di risparmiare denaro aumentando il rapporto studenti-insegnanti: oggi è di 30 a uno, lo si vorrebbe portare a 42 a uno. Altro che No Child Left Behind, ha commentato un preoccupatissimo capo d’istituto preside: la verità è che qui ne avremo, eccome, di bambini perduti per strada. Bisogna sempre guardarsi dalle tentazioni demagogiche: ma di fronte a tutto questo è impossibile sottrarsi a un pensiero di stretta attualità. Nel momento stesso in cui la scuola americana è costretta a stringere la cintura, la guerra irachena sta inghiottendo, oltre a un numero intollerabile di vite umane, risorse misurabili sull’ordine delle decine di miliardi di dollari.

 

                                                                                                      Alfredo Venturi

                                                                                                                                                               

 

                            

 

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