In
molti paesi dell’Occidente si fa un gran parlare di
riforme scolastiche, ma i bilanci pubblici sono gravati da
ben altre priorità – Un po’ dappertutto i
responsabili dell’istruzione sono in rotta di collisione
con i tesorieri che lesinano i fondi – In Italia e in
Francia insegnanti in agitazione per i tagli alle spese
che comportano riduzioni di organici – Negli Stati
Uniti, nonostante gli ambiziosi programmi federali, la
scure cala sul sistema educativo
Un vecchio proverbio insegna che non si fanno le nozze
con i fichi secchi: la solennità della circostanza
consiglia infatti per l’occasione un menu un poco più
sofisticato. Recentemente l’adagio popolare è stato
applicato alla riforma della scuola italiana: si vuole
modernizzare la veneranda istituzione ma, a parte le
critiche assai diffuse sul tipo di modernizzazione scelto
dal governo in carica, c’è una riserva prioritaria di
brutale semplicità: dove sono le risorse? Si sa che Letizia
Moratti, ministro dell’istruzione, è stata più volte in
rotta di collisione con il collega Giulio Tremonti, che
nella sua qualità di responsabile delle finanze è
l’arcigno custode del tesoro dello stato. Per dare al suo
controverso progetto un minimo di base finanziaria, la
Moratti ha dovuto puntare i piedi, minacciare le dimissioni,
invocare la mediazione del presidente del consiglio. Per
ottenere, alla fine, molto meno di quello che considerava il
minimo necessario.
Una tragicommedia romana? Non solo: se ci si guarda
attorno si arriva rapidamente alla conclusione che la
responsabile italiana dell’educazione è in buona
compagnia. Se il suo bilancio è insufficiente a alimentare
i propositi innovativi che ha affidato alla sua riforma (e a
garantire ai docenti un trattamento economico adeguato alla
strategica delicatezza della loro funzione), anche in
Francia, per esempio, in materia di scuola il piatto piange.
Non diversamente da quel che è accaduto in altri paesi del
mondo globalizzato, le difficoltà generali dell’economia
hanno alleggerito i bilanci pubblici sul lato delle entrate,
per cui il governo ha dovuto sforbiciare anche sul lato
delle spese. C’è andato di mezzo proprio il sistema
educativo, colpito dall’austerità governativa in uno dei
suoi punti deboli, la condizione dei docenti non di ruolo.
Così gli insegnanti sono scesi in piazza a Parigi e
altrove, ben consapevoli del resto che fino a quando la
congiuntura non sarà mutata molte aspettative saranno
destinate a rimanere deluse.
Negli Stati Uniti d’America il corpo docente non è
combattivo come quelli europei, dunque difficilmente scenderà
in piazza. Ma anche lì ne avrebbe qualche ragione: si
moltiplicano infatti da un capo all’altro del paese i
tagli alle spese scolastiche. In tutto questo c’è
qualcosa di paradossale: infatti una legge voluta
dall’amministrazione Bush, il No Child Left Behind Act
come vuole il suo titolo ambizioso, ha aumentato del 40 per
cento le risorse federali a disposizione della scuola. Il
guaio è che nel sistema educativo americano l’apporto dei
finanziamenti federali non arriva al 10 per cento. Conta
poco aumentare del 40 per cento un decimo delle risorse, se
contemporaneamente calano gli altri nove decimi. È
precisamente quello che sta accadendo: infatti molti fra i
cinquanta stati (e anche il cinquantunesimo, cioè il
distretto della capitale) sono alle prese con quella che il
quotidiano Washington Post definisce “la peggior
crisi fiscale in più di mezzo secolo”. Risultati: tagli
alle spese, e fra le vittime più illustri è proprio quella
stessa scuola che l’amministrazione federale vorrebbe
rilanciata.
Nello stato di New York, per esempio, il governatore
George E. Pataki si trova stretto fra la sua promessa
elettorale di non aumentare le tasse e un deficit di
bilancio che ha ormai raggiunto il 20 per cento. Se non si
vogliono aumentare le entrate bisogna tagliare le spese: per
questo ha proposto, sollevando prevedibili proteste, un
taglio di 2,1 miliardi di dollari alle uscite per la scuola.
Analoga sforbiciata quella proposta all’altro capo del
paese, in California, dal governatore Gray Davis: 1,9
miliardi da tagliare quest’anno, e forse qualcosa di più
l’anno prossimo. Notizie simili, diverse soltanto per
l’ammontare dei tagli che dipende dalle dimensioni dei
singoli sistemi scolastici, a loro volta legati la numero di
abitanti, vengono dal Michigan, dal Minnesota, dalla
Florida, dal distretto di Columbia (l’area amministrativa
di Washington). E si noti che non solo soltanto gli stati a
ridurre gli stanziamenti per la scuola: anche i singoli
distretti scolastici sono alle prese con problemi di
austerità.
È persino ovvio far notare, che essendo la quantità
un fattore praticamente immutabile è la qualità
dell’istruzione a risentire di tutto questo. Per esempio
in Florida il governatore Jeb Bush (fratello del presidente
George W.) ha bloccato, stretto dalle ristrettezze del
bilancio, un provvedimento che il parlamento dello stato
aveva votato alcuni mesi fa. Aveva l’ambizioso obiettivo
di imprimere al sistema educativo una sterzata di qualità:
prevedeva infatti una drastica riduzione del numero medio di
alunni per classe in ogni ordine di scuola. Ovviamente si
trattava di una misura assai costosa, per questo Bush l’ha
annullata, e ora la faccenda si trascina fra accese
polemiche politiche e ricorsi in giudizio.
Nei distretti scolastici americani, l’85 per cento
delle spese di bilancio è assorbito dal pagamento degli
stipendi: si tratta dunque di voci anelastiche, come dicono
gli economisti, sulle quali è difficile mettere le mani.
Quando si tratta di tagliare, bisogna dunque puntare sul
restante 15 per cento: cioè la formazione degli insegnanti,
le attività dopo-scuola e extra-scuola, persino le mense e
la manutenzione degli edifici. A volte si imbocca
addirittura una strada diametralmente opposta a quella
sognata dai legislatori della Florida: a Portland,
nell’Oregon, è stato infatti proposto di risparmiare
denaro aumentando il rapporto studenti-insegnanti: oggi è
di 30 a uno, lo si vorrebbe portare a 42 a uno. Altro che No
Child Left Behind, ha commentato un preoccupatissimo capo
d’istituto preside: la verità è che qui ne avremo,
eccome, di bambini perduti per strada. Bisogna sempre
guardarsi dalle tentazioni demagogiche: ma di fronte a tutto
questo è impossibile sottrarsi a un pensiero di stretta
attualità. Nel momento stesso in cui la scuola americana è
costretta a stringere la cintura, la guerra irachena sta
inghiottendo, oltre a un numero intollerabile di vite umane,
risorse misurabili sull’ordine delle decine di miliardi di
dollari.
Alfredo Venturi
|