Sono
passati venticinque anni dal tragico giorno di maggio in
cui quel ragazzo di Cinisi fu assassinato dal potere
malavitoso che aveva sfidato – Ma la sua lezione gli è
sopravvissuta e non potrebbe essere più attuale –
Impastato ci insegna che soltanto usando il cervello,
applicando l’intelligenza e l’ironia, si può sperare
di recidere il cordone che ancora lega i fenomeni mafiosi
ai loro retroterra sociali e culturali – Una biografia e
un film ci parlano di lui
Giuseppe
Impastato per me è nato due mesi fa, nel momento in cui ho
conosciuto la sua storia e nonostante anagraficamente sia
morto da più di vent’anni posso tranquillamente affermare
che è molto più vivo, più presente nella mia vita, di
tanta altra gente che conosco ma che, al contrario di lui,
non lascerà nessuna traccia nella mia memoria e nel mio
cuore. Peppino era un ragazzo, studente di filosofia, che
con la sola arma dell’intelligenza e dell’ironia aveva
osato sfidare il potere malavitoso locale. Impastato viveva
a Cinisi, nei pressi di Palermo: uno di quei paesi di
Sicilia in cui la mafia imperversa da sempre.
Contro
questa situazione, la sua reazione fu istintiva prima ancora
che ragionata. Eccolo creare un’emittente, Radio Aut, in
cui con intelligenza, inventiva, ironia, metteva alla
berlina i boss e i loro “picciotti”, svelava i loro
intrecci di affari, le connivenze di politici e
amministratori. Non poteva tardare la decisione di far
tacere quella voce: il 9 maggio 1978, in un’Italia scossa
dalla tragedia di Aldo Moro, arrivò da Cinisi la notizia di
un’altra tragedia. Peppino Impastato era stato
assassinato, dilaniato da una bomba sui binari di una linea
ferroviaria. Aveva compiuto trent’anni quattro mesi prima.
Fisicamente lo hanno ammazzato i mafiosi ed io suppongo con
la complicità di alcuni politici, tutti quelli cui in
qualche modo la sua presenza dava fastidio. Del resto
l’oltraggio continuò anche dopo la morte: il fratello
Giovanni mi racconta del tormento della famiglia e degli
amici di Peppino, fatto a brandelli da quella carica di
tritolo e poi infamato come terrorista, delle tante porte
chiuse in faccia, dei magistrati Chinnici, Costa, Falcone
che si sono occupati del processo e che anche loro sono
morti per mafia. Giovanni giustamente mi dice che in un
paese democratico non si dovrebbero aspettare venticinque
anni per avere giustizia su un caso che poteva essere
risolto in pochi mesi.
Penso
che conoscere Peppino sia un’esperienza unica su questo
pianeta la cui atmosfera è per l’80 per cento azoto (un
gas inerte, senza vita) e soltanto per il 18 per cento
ossigeno, cioè vita. Riflettere su questa realtà
scientifica forse ci spiega filosoficamente perché la
maggioranza sia costituita da una grande massa di individui
“azotici” direi, quelli che non saranno mai fautori di
progresso e con la loro inerzia resistono ad ogni
cambiamento; questi sono stati i veri assassini di Peppino,
che invece era ossigeno puro, e tutto bruciava al suo
contatto.
In
questo mondo votato innaturalmente alla morte una figura come
Peppino sconvolge ogni cosa e ci ricorda la nostra vera
essenza che è equilibrio, armonia, bellezza; ci ricorda che
la libertà e la vita vanno preservate.
In
tutte le scuole del mondo si dovrebbe raccontare la storia
di Peppino: un ragazzo che era avvezzo a adoperare il
cervello per risolvere i mali della società in cui viveva
– un’autentica rarità. Niente armi, niente droghe per
avere più coraggio, niente discipline o indottrinamenti
particolari: cervello, soltanto cervello, quel magnifico
strumento che la natura ci ha messo a disposizione. Quella
impareggiabile vicenda umana può essere ripercorsa per
esempio attraverso l’appassionata ricostruzione biografica
di Salvo Vitale (Nel cuore dei coralli – Peppino
Impastato, una vita contro la mafia, editore Rubbettino),
o vedendo I cento passi, il bellissimo film di Marco
Tullio Giordana.
La
grande battaglia di Peppino è stata contro la menzogna e
lui è riuscito a stanarla proprio in quelli che sono sempre
stati i suoi classici nascondigli: l’opportunismo,
l’onore di facciata della famiglia, del clan, il rispetto
dei più forti, dei più ricchi, il qualunquismo,
l’egoismo.
Peppino
ci insegna a scegliere la vita, l’intelligenza, il libero
arbitrio. Peppino ci insegna a ridere di fronte ai mostri
che ci fanno le boccacce, l’eco della sua risata disgrega
gli atomi dei mostri, li polverizza e sconfigge la paura.
È
molto importante che i giovani conoscano la storia di
Giuseppe Impastato perché finora non è esistita epoca in
cui non sarebbe stato controcorrente e purtroppo non ci sono
ancora le giuste premesse perché la menzogna, ormai
legittimata dall’uso, venga sconfitta. L’esempio di
Peppino fa parte di quel 18 per cento di ossigeno che ci
permette ancora di vivere e siccome lo respiriamo, potremmo
provare ad assomigliargli.
Marilena
Farruggia
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