FOGLIO LAPIS - APRILE 2003

 
 

Sono passati venticinque anni dal tragico giorno di maggio in cui quel ragazzo di Cinisi fu assassinato dal potere malavitoso che aveva sfidato – Ma la sua lezione gli è sopravvissuta e non potrebbe essere più attuale – Impastato ci insegna che soltanto usando il cervello, applicando l’intelligenza e l’ironia, si può sperare di recidere il cordone che ancora lega i fenomeni mafiosi ai loro retroterra sociali e culturali – Una biografia e un film ci parlano di lui

 

Giuseppe Impastato per me è nato due mesi fa, nel momento in cui ho conosciuto la sua storia e nonostante anagraficamente sia morto da più di vent’anni posso tranquillamente affermare che è molto più vivo, più presente nella mia vita, di tanta altra gente che conosco ma che, al contrario di lui, non lascerà nessuna traccia nella mia memoria e nel mio cuore. Peppino era un ragazzo, studente di filosofia, che con la sola arma dell’intelligenza e dell’ironia aveva osato sfidare il potere malavitoso locale. Impastato viveva a Cinisi, nei pressi di Palermo: uno di quei paesi di Sicilia in cui la mafia imperversa da sempre.

Contro questa situazione, la sua reazione fu istintiva prima ancora che ragionata. Eccolo creare un’emittente, Radio Aut, in cui con intelligenza, inventiva, ironia, metteva alla berlina i boss e i loro “picciotti”, svelava i loro intrecci di affari, le connivenze di politici e amministratori. Non poteva tardare la decisione di far tacere quella voce: il 9 maggio 1978, in un’Italia scossa dalla tragedia di Aldo Moro, arrivò da Cinisi la notizia di un’altra tragedia. Peppino Impastato era stato assassinato, dilaniato da una bomba sui binari di una linea ferroviaria. Aveva compiuto trent’anni quattro mesi prima. Fisicamente lo hanno ammazzato i mafiosi ed io suppongo con la complicità di alcuni politici, tutti quelli cui in qualche modo la sua presenza dava fastidio. Del resto l’oltraggio continuò anche dopo la morte: il fratello Giovanni mi racconta del tormento della famiglia e degli amici di Peppino, fatto a brandelli da quella carica di tritolo e poi infamato come terrorista, delle tante porte chiuse in faccia, dei magistrati Chinnici, Costa, Falcone che si sono occupati del processo e che anche loro sono morti per mafia. Giovanni giustamente mi dice che in un paese democratico non si dovrebbero aspettare venticinque anni per avere giustizia su un caso che poteva essere risolto in pochi mesi.

Penso che conoscere Peppino sia un’esperienza unica su questo pianeta la cui atmosfera è per l’80 per cento azoto (un gas inerte, senza vita) e soltanto per il 18 per cento ossigeno, cioè vita. Riflettere su questa realtà scientifica forse ci spiega filosoficamente perché la maggioranza sia costituita da una grande massa di individui “azotici” direi, quelli che non saranno mai fautori di progresso e con la loro inerzia resistono ad ogni cambiamento; questi sono stati i veri assassini di Peppino, che invece era ossigeno puro, e tutto bruciava al suo contatto.

In questo mondo votato innaturalmente alla morte una figura come Peppino sconvolge ogni cosa e ci ricorda la nostra vera essenza che è equilibrio, armonia, bellezza; ci ricorda che la libertà e la vita vanno preservate.

In tutte le scuole del mondo si dovrebbe raccontare la storia di Peppino: un ragazzo che era avvezzo a adoperare il cervello per risolvere i mali della società in cui viveva – un’autentica rarità. Niente armi, niente droghe per avere più coraggio, niente discipline o indottrinamenti particolari: cervello, soltanto cervello, quel magnifico strumento che la natura ci ha messo a disposizione. Quella impareggiabile vicenda umana può essere ripercorsa per esempio attraverso l’appassionata ricostruzione biografica di Salvo Vitale (Nel cuore dei coralli – Peppino Impastato, una vita contro la mafia, editore Rubbettino), o vedendo I cento passi, il bellissimo film di Marco Tullio Giordana. 

La grande battaglia di Peppino è stata contro la menzogna e lui è riuscito a stanarla proprio in quelli che sono sempre stati i suoi classici nascondigli: l’opportunismo, l’onore di facciata della famiglia, del clan, il rispetto dei più forti, dei più ricchi, il qualunquismo, l’egoismo.

Peppino ci insegna a scegliere la vita, l’intelligenza, il libero arbitrio. Peppino ci insegna a ridere di fronte ai mostri che ci fanno le boccacce, l’eco della sua risata disgrega gli atomi dei mostri, li polverizza e sconfigge la paura.

È molto importante che i giovani conoscano la storia di Giuseppe Impastato perché finora non è esistita epoca in cui non sarebbe stato controcorrente e purtroppo non ci sono ancora le giuste premesse perché la menzogna, ormai legittimata dall’uso, venga sconfitta. L’esempio di Peppino fa parte di quel 18 per cento di ossigeno che ci permette ancora di vivere e siccome lo respiriamo, potremmo provare ad assomigliargli.

                                                              Marilena Farruggia

                                                                                                   

 

                            

 

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