Appena
varato il piano riformatore del ministro Moratti, ecco un
disegno di legge della giunta regionale dell’Emilia-Romagna
destinato, parola dei proponenti, a “limitarne i
danni” – Prevede fra l’altro un biennio integrato al
termine della secondaria inferiore, che si propone di
recuperare un obbligo scolastico di fatto accantonato –
Una sterile controriforma “rossa”? Ma no, anche nelle
regioni amministrate dalle forze governative si guarda con
interesse al modello emiliano
Il linguaggio non potrebbe essere più accomodante:
“Non intendiamo certo smantellare la riforma Moratti, né
possiamo cancellare una legge dello stato, ma intendiamo
migliorarla”. Così Mariangela Bastico, assessore
all’istruzione e formazione della regione Emilia-Romagna.
Il suo progetto, in realtà, batte in breccia il disegno
riformatore del ministro Letizia Moratti, e in alcuni punti
essenziali della pianificazione scolastica imbocca una
strada tutta sua. Si tratta di un disegno di legge che la
giunta regionale emiliana ha fatto proprio, su proposta
dell’assessore Bastico, e che ora tocca al consiglio
regionale trasformare in legge. Se questo avverrà, come è
prevedibile, in tempi ravvicinati, già a partire dal
prossimo settembre la scuola di questa regione sarà
impostata su criteri notevolmente diversi, se non
decisamente alternativi, rispetto a quelli della riforma
nazionale.
Preceduto da un’accurata consultazioni delle parti
in causa, a cominciare dagli specialisti e dagli insegnanti,
il modello emiliano corregge due fra i punti più
controversi della riforma Moratti: la cesura fra classi
elementari e secondaria inferiore e la brutale biforcazione,
dopo i primi otto anni di scuola, fra liceo e formazione
professionale, che implica una scelta difficile a carico di
ragazzi ancora immaturi. Sul primo punto il progetto Bastico
prevede sia l’adozione di programmi didattici che di fatto
garantiscano continuità al ciclo di base, sia il
potenziamento degli istituti comprensivi, nei quali i due
livelli educativi (e anche la materna, quando sia possibile)
sono anche fisicamente vicini.
Sul secondo punto i “controriformisti” emiliani si
propongono di allontanare di due anni una scelta che la
riforma Moratti impone a ragazzi di tredici anni: scelta che
moltissimi giudicano prematura fra uno degli otto licei e la
formazione professionale. È vero che il modello
ministeriale non la considera irreversibile: ma tutti
concordano sul fatto che non sarà facile, per un ragazzo
che ha optato per la formazione, concretizzare un eventuale
ripensamento trasferendosi in un liceo. Un’altra critica
al meccanismo morattiano riguarda l’obbligo scolastico,
che una legge del 1999 aveva portato fino ai quindici anni,
e che il bivio al termine della vecchia scuola media di
fatto vanifica per coloro che scelgono la formazione
professionale. Non a caso quella legge è stata abrogata,
sia pure con l’avvertenza che anche i primi anni di
formazione sono in qualche modo da considerarsi un
adempimento dell’obbligo.
Nel progetto della regione Emilia-Romagna questa vera
e propria scelta di vita è dunque rinviata di due anni, a
un’età dunque più matura e consapevole. Viene infatti
instaurato un biennio integrato, nel quale non soltanto
saranno insegnati italiano, lingua straniera, storia e
matematica, in modo da dare sostanza al compimento di un
obbligo scolastico decennale, ma verranno anche studiate le
prime nozioni degli indirizzi professionali. In quei due
anni si completerà dunque l’educazione culturale di base,
che la parità costituzionale dei diritti vuole estesa a
tutti, e al tempo stesso si svolgerà una funzione di
orientamento, fornendo criteri sui quali fondare più
razionalmente la scelta. Sforzandosi di correggere
l’inevitabile polarizzazione sociale determinata dal bivio
fra istruzione e formazione professionale, il progetto cerca
di collocare le due categorie su un piano di relativa
omogeneità, offrendo altri percorsi integrati.
Altri aspetti del modello emiliano riguardano
l’introduzione di più severi limiti di età e di ore
lavorative per gli stages nelle strutture produttive, e la
creazione di classi per i bambini più piccoli della scuola
materna. Quest’ultimo punto mira a evitare che in seguito
all’anticipo previsto dalla riforma Moratti bambini di età
diverse, dunque di diverse esigenze didattiche, si trovino a
dover frequentare le stesse classi. Naturalmente qui i
propositi innovativi si scontrano con le note difficoltà di
bilancio: creare più classi è infatti purtroppo in
controtendenza rispetto ai tagli finanziari programmati dal
governo e alle conseguenti riduzioni di organici.
Si potrebbe pensare che la controriforma di Bologna
sia considerata altrove come una polemica fuga in avanti,
come la trovata di un’amministrazione di centro-sinistra,
dunque politicamente avversa alla maggioranza di governo che
ha varato la riforma Moratti, volta a mettere in difficoltà
la controparte politica. Ma non è così, il serrato
dibattito in corso sull’assetto federale dello stato fa sì
che sullo scontro fra i partiti finisca col prevalere la
dialettica fra il centro e la periferia. Fatto sta che non
soltanto nelle altre regioni amministrate dal
centro-sinistra, ma anche in alcune fra quelle in mano alle
forze governative il modello emiliano è visto con molto
interesse. Il progetto Bastico è infatti fortemente
regionalista, attribuendo all’ente decentrato funzioni in
materia scolastica che interpretano in senso estensivo la
stessa “devoluzione” programmata dal governo su impulso
del federalismo leghista. E proprio questo carattere,
rivendicativo di ampi poteri attualmente centralizzati,
potrebbe affiancare le regioni azzurre alle rosse, in un
variegato fronte di resistenza alla sua riforma che il
ministro Moratti probabilmente non si aspettava.
a.v.
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