FOGLIO LAPIS - APRILE 2003

 
 

Appena varato il piano riformatore del ministro Moratti, ecco un disegno di legge della giunta regionale dell’Emilia-Romagna destinato, parola dei proponenti, a “limitarne i danni” – Prevede fra l’altro un biennio integrato al termine della secondaria inferiore, che si propone di recuperare un obbligo scolastico di fatto accantonato – Una sterile controriforma “rossa”? Ma no, anche nelle regioni amministrate dalle forze governative si guarda con interesse al modello emiliano  

 

 

Il linguaggio non potrebbe essere più accomodante: “Non intendiamo certo smantellare la riforma Moratti, né possiamo cancellare una legge dello stato, ma intendiamo migliorarla”. Così Mariangela Bastico, assessore all’istruzione e formazione della regione Emilia-Romagna. Il suo progetto, in realtà, batte in breccia il disegno riformatore del ministro Letizia Moratti, e in alcuni punti essenziali della pianificazione scolastica imbocca una strada tutta sua. Si tratta di un disegno di legge che la giunta regionale emiliana ha fatto proprio, su proposta dell’assessore Bastico, e che ora tocca al consiglio regionale trasformare in legge. Se questo avverrà, come è prevedibile, in tempi ravvicinati, già a partire dal prossimo settembre la scuola di questa regione sarà impostata su criteri notevolmente diversi, se non decisamente alternativi, rispetto a quelli della riforma nazionale.

Preceduto da un’accurata consultazioni delle parti in causa, a cominciare dagli specialisti e dagli insegnanti, il modello emiliano corregge due fra i punti più controversi della riforma Moratti: la cesura fra classi elementari e secondaria inferiore e la brutale biforcazione, dopo i primi otto anni di scuola, fra liceo e formazione professionale, che implica una scelta difficile a carico di ragazzi ancora immaturi. Sul primo punto il progetto Bastico prevede sia l’adozione di programmi didattici che di fatto garantiscano continuità al ciclo di base, sia il potenziamento degli istituti comprensivi, nei quali i due livelli educativi (e anche la materna, quando sia possibile) sono anche fisicamente vicini.

Sul secondo punto i “controriformisti” emiliani si propongono di allontanare di due anni una scelta che la riforma Moratti impone a ragazzi di tredici anni: scelta che moltissimi giudicano prematura fra uno degli otto licei e la formazione professionale. È vero che il modello ministeriale non la considera irreversibile: ma tutti concordano sul fatto che non sarà facile, per un ragazzo che ha optato per la formazione, concretizzare un eventuale ripensamento trasferendosi in un liceo. Un’altra critica al meccanismo morattiano riguarda l’obbligo scolastico, che una legge del 1999 aveva portato fino ai quindici anni, e che il bivio al termine della vecchia scuola media di fatto vanifica per coloro che scelgono la formazione professionale. Non a caso quella legge è stata abrogata, sia pure con l’avvertenza che anche i primi anni di formazione sono in qualche modo da considerarsi un adempimento dell’obbligo.

Nel progetto della regione Emilia-Romagna questa vera e propria scelta di vita è dunque rinviata di due anni, a un’età dunque più matura e consapevole. Viene infatti instaurato un biennio integrato, nel quale non soltanto saranno insegnati italiano, lingua straniera, storia e matematica, in modo da dare sostanza al compimento di un obbligo scolastico decennale, ma verranno anche studiate le prime nozioni degli indirizzi professionali. In quei due anni si completerà dunque l’educazione culturale di base, che la parità costituzionale dei diritti vuole estesa a tutti, e al tempo stesso si svolgerà una funzione di orientamento, fornendo criteri sui quali fondare più razionalmente la scelta. Sforzandosi di correggere l’inevitabile polarizzazione sociale determinata dal bivio fra istruzione e formazione professionale, il progetto cerca di collocare le due categorie su un piano di relativa omogeneità, offrendo altri percorsi integrati.

Altri aspetti del modello emiliano riguardano l’introduzione di più severi limiti di età e di ore lavorative per gli stages nelle strutture produttive, e la creazione di classi per i bambini più piccoli della scuola materna. Quest’ultimo punto mira a evitare che in seguito all’anticipo previsto dalla riforma Moratti bambini di età diverse, dunque di diverse esigenze didattiche, si trovino a dover frequentare le stesse classi. Naturalmente qui i propositi innovativi si scontrano con le note difficoltà di bilancio: creare più classi è infatti purtroppo in controtendenza rispetto ai tagli finanziari programmati dal governo e alle conseguenti riduzioni di organici.

Si potrebbe pensare che la controriforma di Bologna sia considerata altrove come una polemica fuga in avanti, come la trovata di un’amministrazione di centro-sinistra, dunque politicamente avversa alla maggioranza di governo che ha varato la riforma Moratti, volta a mettere in difficoltà la controparte politica. Ma non è così, il serrato dibattito in corso sull’assetto federale dello stato fa sì che sullo scontro fra i partiti finisca col prevalere la dialettica fra il centro e la periferia. Fatto sta che non soltanto nelle altre regioni amministrate dal centro-sinistra, ma anche in alcune fra quelle in mano alle forze governative il modello emiliano è visto con molto interesse. Il progetto Bastico è infatti fortemente regionalista, attribuendo all’ente decentrato funzioni in materia scolastica che interpretano in senso estensivo la stessa “devoluzione” programmata dal governo su impulso del federalismo leghista. E proprio questo carattere, rivendicativo di ampi poteri attualmente centralizzati, potrebbe affiancare le regioni azzurre alle rosse, in un variegato fronte di resistenza alla sua riforma che il ministro Moratti probabilmente non si aspettava.

 

                                                              a.v.

                                                                                                   

 

                            

 

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